Monterey, a sud di San Francisco. 16-18 giugno 1967. Il Festival simbolo dello spirito hippie. Contro la guerra, le armi atomiche, il mondo adulto e le sue convenzioni, finalmente le stelle del rock si accendono nel cielo e tutti possono vederle. Sara stato il sole, le luci fantasmagoriche, i fiumi di droga, ma mai come a Monterey il rock nelle sue mille sfaccettature sembrò poter cambiare il mondo. Qui gli Who (che pretesero di suonare prima di Hendrix) conquistarono gli Usa con uno spettacolo choc fatto di suoni iperfragorosi, cortine di bombe fumogene e strumenti fracassati; qui Jimi passò alla storia incendiando la chitarra; qui Janis Joplin emozionò urlò pestando i piedi sul palco come se stesse chiudendo il coperchio di una bara; qui Otis Redding fece piangere i Rolling Stones. Un trionfo, anche se quattro mesi dopo gli hippie celebrarono il loro simbolico funerale a Haight Ashbury: neppure Woodstock, nonostante lo spiegamento di star, riuscì a riproporre in modo altrettanto compiuto lo spirito di quella generazione. Monterey fu una freccia puntata verso la terra promessa; non la raggiunse ma fece la storia della musica dal vivo, raccontata nel libro 1000 concerti che ci hanno cambiato la vita (Rizzoli) di Ezio Guaitamacchi. A cambiarci la vita ha pensato Alan Freed, papà del rnr, grande dj e altrettanto gran maneggione, che il 21 marzo 1952 organizzò il primo rock show allArena di Cleveland, Ohio. 10mila posti invasi da almeno il doppio di giovani pronti a tutto per ascoltare Paul Williams e gli Hucklebuckers (che stavano cambiando lo rnb in rnr), i Dominoes, Tiny Grimes. Musica da sballo e aria di rivolta con botte da orbi e intervento della polizia che sospese lo show. Un debutto turbolento: un presagio?
Il rock allo stadio oggi è un classico, ma ce lhanno portato i Beatles il 15 agosto 1965 al Shea Stadium di New York. Arrivati in incognito, travestiti da agenti portavalori, i Fab Four fanno impazzire 55mila fan che, con le loro urla, sovrastano i suoni degli amplificatori Vox da 100 watt creati apposta per levento. Mezzora di show da Twist and Shout a Help e Im Down, per un incasso di 340mila dollari e un guadagno di 160mila. Strada aperta ai megashow: gli U2 (che nel 97 con lo show a Sarajevo e quello a Reggio Emilia con 146mila spettatori, secondi per presenze solo a Ligabue a Campovolo), ringraziano.
Bolle dinchiostro colorato scaldate con una torcia elettrica e raffreddate con un phon, proiettori, trucchi come la stiratura del lattice dei preservativi raccolti per strada. Sono gli effetti speciali dei primi concerti allUfo di Londra dei Pink Floyd. Giochini che fanno sorridere ma che aprono la strada a faraoniche produzioni della band come il «Live a Pompei», ovvero il rock al cospetto della storia il 4 ottobre 1971. Alla faccia della tecnologia, per suonare la band fu costretta a stendere una prolunga lunga chilometri e piantonata lungo il percorso per evitare che fosse danneggiata o interrotta da allacci abusivi.
Piaccia o no il Bad World Tour 1987-88, primo tour mondiale di Michael Jackson, ha cambiato il volto degli spettacoli dal vivo con 123 concerti, 4 milioni e mezzo di spettatori e un incasso di 125 milioni di dollari. Il tour europeo sè aperto con due concerti romani in cui «la nuova star» è costretta a dribblare i fan circolando con parrucca e baffi finti. Sono molti gli show da citare; quello di Elvis a Dallas nel 56 che radunò il record di fan (26mila) e per la prima volta scatenò una furibonda isteria collettiva; le prime colorite uscite punk dei Ramones (3mila show in pochi anni che hanno cambiato il costume), il Circus che ha unito Beatles e Stones, le magie di Muddy Waters che a Newport regalò il blues ai bianchi, il concerto per il Bangladesh di George Harrison, gli esordi dei Byrds a Los Angeles, precursori country-psichedelici dei Doors. Per molti «la più grande serata della storia» resta lo show di Judy Garland del 61 alla Carnegie Hall di New York davanti a Marilyn Monroe, Bernstein e Spencer Tracy o, paradossalmente, il mitico concerto di Dylan al Folkstudio nel 63 per 15 fortunati.
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