(...) Con il teatro dellOpera, tanto per dire, non funziona così: paghiamo tutti, anche chi il Carlo Felice non lha mai visto nemmeno in fotografia. Quindi, non cè che da augurarsi che il lavoro del commissario Ferrazza - perfetto nellenunciazione della sua politica di taglio dei costi e dei cachet - vada avanti, senza guardare in faccia a nessuno. A questo punto, mi scuso. Dovevo parlare di Tiziano Ferro e mi sono trovato a parlare per lennesima volta di Carlo Felice. Ma è un discorso che riesce a farmi indignare anche solo a nominare il teatro.
Quindi, torniamo alla musica leggera, ma dai bilanci pesanti. Agli sforzi di imprenditori come Vincenzo Spera o come gli amministratori del Vaillant o come le girls del Politeama che, ogni anno, mettono in piedi cartelloni con i fiocchi, senza gravare sui bilanci pubblici. A uno come Spera, ad esempio, dovrebbero mettere i tappeti rossi ogni volta che si avvicina a un teatro. Spesso, invece, gli mettono i bastoni fra le ruote.
Tiziano Ferro, dunque. Un concerto, dicevamo. Ma ancor di più un grande appuntamento di cultura popolare: Tiziano è giovanissimo. Ma, canzone dopo canzone, riesce a commuovere, ad emozionare, a far ballare, a far amare. Uomo di una cultura popolare che è quella dei trovatori medievali, dei mogolbattisti degli anni Settanta e dei piccoli raccontatori di piccole storie di sempre. Sdoganato troppo tardi dalla critica, fra cui svetta un fans della prima ora come lottimo Renato Tortarolo del Secolo XIX.
Tiziano - che nelle canzoni dellultimo disco Alla mia età riesce a superarsi, in una gara continua a stupire chi pensa che abbia raggiunto il suo punto più altro - ha questa forza. Quella di non fare musica intellettuale, ma di usare lintelletto per fare musica. Quello di essere contemporaneamente alto e basso, di duettare con Battiato e di scrivere per Giusy Ferreri e produrla, di contaminare gioiosamente i duri e puri dei Linea 77 e di scherzare con Biagio Antonacci, di mantecare musicalmente Luca Carboni e di svecchiare Fiorella Mannoia, di scherzare gioiosamente con Laura Pausini e di umanizzare la perfezione da levigato prodotto anglosassone di Kelly Rowland, di svecchiare Mina e di far diventare potabili cantanti che altrimenti non lo sarebbero come strani tipi messicani e sudamericani, Paesi dove è venerato come una divinità.
Tiziano emoziona, Tiziano racconta. Tiziano vive. Credo che sia un modello assolutamente positivo anche per la sua storia di ragazzo nato da una famiglia normalissima, mamma casalinga e papà geometra; cresciuto a Latina, nella provincia più provinciale; con forti problemi di timidezza e introversione, al confine della bulimia, quando raggiunse 111 chili di peso. E poi, il successo italiano. E poi, il successo mondiale. E poi, il trionfo. Eppure, la volontà di stare con i piedi per terra. Anche vivendo a Londra. Con interviste che dicono di un ragazzo addirittura più dolce, sensibile e intelligente delle sue canzoni. Soprattutto, di un uomo che non rinuncia a vivere nel mondo. Che non rinuncia a crescere. Che non si vergogna a dire: «Sono cambiato». Ecco, credo che la classe di Ferro sia proprio questo. E che abbia moltissimo da insegnare a tanti nostri ragazzi, nati come lui ai bordi di periferia. Tiziano è lì a dimostrare che non è obbligatorio vivere nei reality per avere successo e che non è indispensabile non saper far niente o non avere talento per essere un personaggio vincente.
Tiziano, soprattutto, ha incrociato recentemente due storie genovesi. E - come spesso accade con lui - ne è uscito un mix assolutamente vincente e positivo: il suo Le passanti è stato forse il punto più alto e commovente della serata di Che tempo che fa dedicata da Fabio Fazio a Fabrizio De Andrè e il tocco di Ivano Fossati, in Indietro, è la dimostrazione della possibile convivenza di due mondi che qualcuno vorrebbe incomunicabili e incomunicanti. E invece divertenti. E invece solari.
Questo capolavoro nacque probabilmente proprio a Fiumara la sera del concerto genovese dello scorso tour di Tiziano, quando Ivano apparve a sorpresa fra il pubblico. Sembrava un caso, non era un caso.
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