Dai conti esteri alle primarie, Bersani assediato dai suoi

RomaLa grana Penati è tutt’altro che risolta, anche se per ora nello stato maggiore Pd sono convinti di averne arginato le ripercussioni negative sul proprio popolo imponendo la linea della rinuncia alla prescrizione.
Una linea che anche qualche esponente di prima fila, tra i bersaniani, definisce «un’aberrazione giuridica», perché pretende da un indagato la rinuncia a un legittimo diritto di difesa, ma anche «dolorosamente necessaria» per non far pagare prezzi d’immagine troppo alti al partito. Gli spifferi giudiziari che parlano di conti esteri in Lussemburgo creano allarme, perché «se fosse vero il quadro cambierebbe», come ammette più di un dirigente.
Ma non sono state le inchieste della magistratura, ieri, a rovinare il sabato del segretario Pd: son bastati i suoi. Passi per Matteo Renzi e il suo annuncio di «discesa in campo» in caso di primarie: Bersani sa da tempo che il sindaco di Firenze vuol giocarsi una partita nazionale e che lavora da mesi a quella candidatura e alla sua futura campagna, attraverso raccolta di fondi, preparazione della squadra, brain storming con gli organi di stampa che potrebbero appoggiarlo. Idem per Vendola, che pure lui è tornato a chiedere le primarie. Sono quelli più vicini al leader che sembrano essersi messi d’accordo per mandargli di traverso il week-end: ha iniziato Enrico Letta, che è il suo vice, e che da Cernobbio ha invocato un «governo di salvezza nazionale» e si è sperticato in lodi per il neo-aspirante politico Profumo. Dicendo di vederne «molto bene» un eventuale impegno, perché è «competente e appassionato» e «ce ne vorrebbero di persone come lui». E questo mentre Bersani aveva appena finito di bocciare, via intervista a l’Unità, le «scorciatoie personalistiche e semplicistiche», ovvero la corsa dei tecnocrati a rimpiazzare una politica sempre più traballante.
Poi ci si è messa Rosy Bindi, che ha minacciato Renzi di espulsione dal partito se osa candidarsi, suscitando naturalmente un putiferio, con Arturo Parisi che ironizza: «Il rischio è che molti diano retta alla Bindi e escano dal Pd».
Quindi è stata la volta di Nicola Zingaretti, il presidente della Provincia di Roma che ieri è stato una delle star del seminario dei «quarantenni» alla festa Pd di Pesaro e ha picchiato duro su un partito «subalterno» e «conservatore» che «negli ultimi 3 o 4 anni non ce l’ha fatta». Salvo poi mandare un messaggio che voleva essere rassicurante («Il leader c’è ed è Bersani») e che invece è suonato malizioso. E mentre l’ex Ppi Giorgio Merlo implora «basta fuoco amico nel Pd», Pippo Civati chiosa: «Tra Letta su Profumo, la Bindi che dice a Renzi “se ci sei tu ci sono anch’io” e Zingaretti, oggi il Pd segna un passo deciso verso l’autodistruzione».


Ma ieri anche il Colle ha contribuito non poco al malumore in casa Pd, con quell’urgente esortazione di Giorgio Napolitano a maggioranza e opposizione ad un «impegno comune» per fare in fretta la manovra. «Ma che si aspetta ancora da noi, che togliamo un’altra volta le castagne dal fuoco ad un governo che è arrivato ormai all’8 settembre», sbottano al Nazareno.

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