Il ciccione si è fatto un sacco di nemici. E adesso non gli crede più nessuno. L’ultimo identikit lo disegna alto un metro e sessantotto, con il naso storto, i capelli a spazzola, la carnagione olivastra e «una faccia che se te la ritrovi seduta in salotto come minimo metti mano al revolver» spiega l’antropologo Anand Kapoor che ne ha tracciato il profilo ricalcando i lineamenti di San Nicola. A Stoccolma ha rapinato una banca, a New York venduto pistole in strada, a Ottawa molestato ragazzine. Dicono non fosse lui, ma chi sia lui nessuno lo sa.
Riceve 750mila lettere, tre su quattro scritte a mano, è più famoso di Gesù (ma meno di Harry Potter), solo i bambini americani mettono da parte per lui 30mila miliardi nei loro piccoli salvadanai di terracotta. E quasi nove su dieci credono in lui senza se e senza ma. Ma non lo può più vedere nessuno. Il parroco di Garlasco don Luigi Di Carlo per esempio che lo ha smascherato in diretta durante l’ultima omelia: «Babbo Natale non esiste: insegnate piuttosto i veri valori ai vostri figli». I genitori si sono offesi ma perché «poteva anche scegliere un altro momento per farci piangere i bimbi». Solo una settimana fa per aver rivelato la stessa verità una supplente di matematica della Blackshaw Lane Primary School di Oldham, al suo primo giorno di supplenza, è stata licenziata. Pensare che i numeri sono il forte del ciccione: viaggia per 10 milioni di chilometri, a 4mila km orari, trascinato da 330mila renne, con cinquanta tonnellate di regali per 378 milioni di bambini, in sole 31 ore, praticamente 967 bambini al secondo. Un fenomeno. Mediatico però. Perché qualche dubbio sul fatto che non esistesse era venuto anche a noi. Com’è per esempio che non c’è mai un regalo costoso per un bambino povero?
Però ci avevano anche detto che Veltroni esisteva e invece non è vero, quindi a chi credere? I nemici del resto al nonnino non sono mai mancati, soprattutto in Chiesa. Per il reverendo anglicano Derek Wooldridge «esiste solo perché esistono i bambini», per il pastore gallese Wade McLennan «il Natale è Gesù non lui», per il vescovo messicano Antonio Gonzalez «mina la fede dalle fondamenta», per il sacerdote tedesco Eckrad Bieger «è un’invenzione dei commercianti». Persino i Re Magi hanno bastonato «quel grassone con il pigiama rosso assetato di soldi». In Spagna per tradizione sono i Magi a portare i doni. Potevate dircelo prima che era un regolamento di conti.
Ma il Babbo non ha trovato sponde nemmeno tra i laici e non si fatica a capire perché: non chiede niente a nessuno, non rompe le palle, ci fa sentire meglio, ispira ottimismo, è un depravato esempio di slancio, paga persino il caffè alle macchinette. Gli psicologi americani lo considerano diseducativo perché fa perdere credibilità ai genitori, i dietologi scozzesi un cattivo maestro perché educa i bambini all’obesità, i sociologi francesi un dannoso sessista, gli etici del Rhode Island una favola immorale. Meno male che ci sono loro a regalarci una vita migliore, più vuota di questa, ad inventare nuovi modi di diventare tristi. Ce l’hanno col Babbo le femministe finlandesi che vogliono sostituirlo con mamma Natale, i bulli di Suffolk che lo hanno costretto a sassate alla scorta, Hollywood che nel film Babbo Bastardo lo ha disegnato come un ubriacone che odia i bambini, Gigi D’Alessio che ha intitolato Babbo Natale non c’è il suo ultimo cd, Sky tv che negli spot lo ha sostituito con un certo Pasquale.
Insomma Babbo Natale è di troppo. Buono per sponsorizzare un pandoro o la carta auguri prepagata del cellulare, ma troppo buono con il suo calore fuori commercio per questi tempi acidi e senz’anima. Eppure c’è chi non ha mai smesso di amarlo. Terry Randolph, Babbo Natale da grandi magazzini, ha sostituito all’anagrafe il proprio nome con quello di Santa Claus: «Ero stufo di sentirmi dire dai bambini: mostrami la patente e vediamo chi sei».
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