Il Dalai Lama: in Tibet violata la tregua

Il leader spirituale buddista accusa Pechino: «L’oppressione non è stata sospesa neppure in occasione dei Giochi»

C’era una volta la tregua olimpica. Ci aveva creduto anche il Dalai Lama: soltanto due giorni fa, il leader spirituale del popolo tibetano aveva dato il suo pieno appoggio alle Olimpiadi in terra cinese: «Sostengo pienamente i Giochi olimpici in Cina, e il popolo cinese merita di accoglierli», le distensive parole del capo temporale del buddismo tibetano, al termine di una cerimonia religiosa, da lui presieduta, nella pagoda di Evry, nella banlieue parigina.
Ieri l’immediato dietrofront. Con parole che squarciano come un fulmine a ciel sereno l’idilliaco paesaggio disegnato ad arte dal governo cinese, che dalla magica data dell’otto-otto-duemilaotto era riuscito nell’impresa di rendere immacolata la sua condotta agli occhi del mondo occidentale. «Mentre si tengono i Giochi olimpici, l’oppressione e la repressione del popolo tibetano proseguono senza sosta», ha tuonato il Dalai Lama, durante un incontro con diversi deputati francesi, appartenenti ai gruppi parlamentari pro-Tibet. «Al Dalai Lama - racconta Robert Badinter, uno dei membri del Parlamento di Parigi, già ministro della Giustizia sotto la presidenza di François Mitterrand - è stato chiesto se, in occasione dello svolgimento della manifestazione a cinque cerchi, il regime cinese avesse sospeso gli arresti e l’oppressione nella regione himalayana. La sua risposta è stata molto chiara: no».
Nonostante ciò, il Dalai Lama vuole proseguire lungo il difficile cammino del dialogo e del confronto con il governo cinese: non è la vecchia tattica del «un colpo al cerchio e uno alla botte», ma poco ci manca. «La Repubblica Popolare non va isolata - la frase con cui il Dalai Lama ha avvertito il mondo occidentale -, ma dev’essere ricondotta nell’ambito dell’assetto sociale come è comunemente inteso, e il mondo deve creare con essa rapporti di amicizia genuini. È assolutamente essenziale». Un’apertura al mondo cinese, dunque, sorretta però da saldi principi democratici. «Bisogna essere fermi su certi principi - ha proseguito il leader spirituale - come la democrazia, i diritti umani, la libertà di stampa, lo stato di diritto». Con un colpo al cerchio, il Dalai Lama ha poi lodato la presa di posizione del presidente americano George Bush il quale, a poche ore dall’inaugurazione dei Giochi, aveva manifestato la «profonda preoccupazione» sua e degli Stati Uniti per la situazione dei diritti dell’uomo e della libertà religiosa in Cina. Quindi, con un colpo alla botte, ha avuto parole di elogio anche per la «trasparenza» di cui le autorità cinesi diedero prova in occasione del terremoto che il 12 maggio scorso devastò il sud-ovest del Paese.
Il tutto mentre la polizia cinese aveva appena dato - se ancora ce ne fosse bisogno - una nuova prova del pesante clima che avvolge il villaggio olimpico. E in questo caso, lo smog e l’umidità c’entrano poco.

Un corrispondente dell’emittente britannica Itv, John Ray, ha raccontato di essere stato picchiato, trascinato a terra e condotto in un ristorante da alcuni poliziotti cinesi - dove è stato trattenuto per circa una ventina di minuti - mentre stava riprendendo una manifestazione a sostegno del Tibet nella zona olimpica di Pechino, dove sono stati fermati otto attivisti. «Ho provato a spiegare loro che ero un giornalista britannico, ma non mi lasciavano neanche mostrare i miei documenti», le parole del reporter. Benzina sul fuoco, molto poco olimpico, di questi Giochi.

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