D'Alema propone a Fini un'alleanza comune per abbattere il premier

L'ex premier rilancia l'idea di imbarcare il leader Fli nel carrozzone anti Cav. Una casa comune per due politici travolti dagli scandali legati ai loro appartamenti

D'Alema propone a Fini 
un'alleanza comune 
per abbattere il premier

Ad accomunare Gian­franco Fini e Massimo D’Ale­ma, a parte l’opposizione se­vera a Berlusconi, c’è anche una certa sfortuna immobilia­re. Entrambi, in momenti di­versi, sono incappati in un guaio: D’Alema con l’appar­tamento ricevuto in affitto ad equo canone dall’Inpdap, e Fini con la casa di Montecar­lo che, donata al partito, sa­rebbe finito al cognato. Vicen­de fastidiose per un’immagi­ne che si vorrebbe rigorosa.

D’Alema lasciò l’apparta­mento, e, a leggere una sua re­cente intervista a Oggi , l’ha presa con filosofia: «Ho colto l’occasione di realizzare con un mutuo il sogno di tutti gli italiani: lasciare una casa ai propri figli». Fini, invece, non ha lasciato né la casa né la pre­sidenza di Montecitorio e ha fatto finta di nulla: il che di­mostra senz’altro la superio­rità civica di D’Alema, ma an­che una sua certa ingenuità politica. Il presidente della Camera, infatti, alla fine l’ha fatta franca, anche se i conti con la giustizia civile sono an­cora in sospeso. E l’opposizio­ne continua a minimizzare il caso della casetta di Monte­carlo - «una questione minu­scola », secondo le parole del­lo stesso D’Alema.

Il rapporto fra i due - fra l’erede designato di Enrico Berlinguer e il delfino di Gior­gio Almirante - non si è in fon­do mai discostato da questo schema,con D’Alema che te­orizza, tesse e costruisce dise­gni sempre più arditi, e Fini che s’imbuca finché gli con­viene. È stato così agli albori della loro amicizia politica, quando un rapporto troppo stretto fra i due finì con l'inso­spettire Berlusconi e fu tra le cause del fallimento della Bi­camerale: mentre l’allora se­gretario dei Ds costruiva con il meccano delle alleanze tra­sversali una sua partita politi­ca, il presidente di An sfruttò il corteggiamento dalemiano per stuzzicare Berlusconi e guadagnare la ribalta, salvo poi tornare all'ovile al mo­mento del dunque.

Chissà se anche questa vol­ta andrà così, ora che l’ovile è presidiato da Pier Ferdinan­do Casini, il politico più cor­teggiato d’Occidente. Fatto sta che D’Alema anche ieri, in un’intervista al Piccolo , ha rilanciato l’idea di una Santa Alleanza da Vendola a Fini, con il quale «allearsi sarebbe utile». «Il Paese ha bisogno quasi di un governo costi­tuente - questa l’argomenta­zione del presidente del Co­pasir - . Ci sono molti valori che ci uniscono come la lega­lità e ci può essere un impe­gno comune per realizzare le grandi riforme. Poi ognuno va per la sua strada». A dire il vero, non si tratta affatto di una novità: è almeno dell’in­dimenticato «Che fai, mi cac­ci? » che Fini è diventato un possibile alleato per il Pd; ma è anche vero che, almeno sul­la carta, Bersani sostiene una linea diversa, o per meglio di­re più linee, un giorno bus­sando alla porta di Casini e l’altro facendo rientrare Ven­dola dalla finestra.

D’Alema invece, che ha il pregio di guardare le cose con indubbio realismo, s’è convinto da tempo che l’uni­co modo per sconfiggere Ber­lusconi alle urne sia quello di mettersi tutti insieme contro di lui. Epperò, siamo onesti, per quanto improbabile sia diventata la politica in Italia e per quanto antipatico possa essere Berlusconi, non c’è nessun motivo al mondo per­ché un elettore che tre anni fa ha votato per il cofondatore del Pdl dovrebbe oggi seguir­lo in un’alleanza con Vendo­la, o perché un altro elettore, dopo aver votato tutta la vita un partito di sinistra, dovreb­be oggi votare l’ex principale alleato di Berlusconi.

Per giustificare un’allean­za elettorale così strampalata bisogna ricorrere, come infat­ti fa D’Alema, all’emergenza democratica: «Siamo in una situazione simile a quella del dopoguerra, quando l’Italia scelse tra monarchia e repub­blica », spiegava a febbraio in un’intervista, e la Santa Alle­anza «nascerebbe con due collanti fondamentali: chiu­dere la pagina del berlusconi­smo, aprire una fase nuova». Il fatto è che i referendum su Berlusconi non sono affatto mancati in questi anni, e anzi domenica ne è in program­ma un altro. E ogni volta lo scontro frontale ha avvantag­giato il Cavaliere, mentre le divisioni interne hanno inde­bolito e qualche volta dissol­t­o le varie alleanze di centrosi­nistra.

Per di più, Berlusconi ha il vantaggio non piccolo di essere il capo indiscusso del suo schieramento, mentre l’armata antiberlusconiana pullula di candidati di ogni età, famiglia politica e ceto so­ciale, ma manca dell’unico elemento indispensabile: un leader riconosciuto.

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