Nostro inviato ad Ankara
Sotto il segno di Ataturk. Il vero filo rosso che ha unito la giornata di Papa Ratzinger ad Ankara è proprio lui, il padre della Turchia moderna e laica, nonché suo primo presidente dal 1923 fino allanno della morte, il 1938. Una sua gigantografia campeggia sopra le teste di Benedetto XVI e del premier turco Erdogan, durante quel colloquio nella sala vip dellaeroporto che fino a 48 ore fa non si sarebbe neanche dovuto svolgere.
Appena arrivato ad Ankara, il Papa ha compiuto il consueto gesto di omaggio al fondatore della Turchia, sistemando sulla tomba, secondo un rituale quasi religioso, una corona di garofani bianchi e rossi, accompagnata dalla scritta «Pope Benedict». Ratzinger però non rispetta il rituale, e invece di compiere quattro passi allindietro, si è voltato dando le spalle al sepolcro, sul quale però, in compenso, ha pregato per oltre un minuto. Prima di lasciare il mausoleo, Benedetto XVI ha firmato, comè tradizione, il «Libro dOro», vergando una frase in inglese che si era già preparato: «In questa terra, punto dincontro e crocevia di religioni e culture diverse, cerniera fra lAsia e lEuropa, volentieri faccio mie le parole del fondatore della Repubblica turca per esprimere laugurio: Pace in Patria, pace nel mondo!».
Anche nel palazzo presidenziale, quando è stato accolto dal capo dello Stato Ahmet Necdet Sezer, cioè colui che lha ufficialmente invitato a visitare il Paese, il Papa è stato sovrastato dalle gigantografie di Ataturk. Nel suo primo discorso ufficiale in Turchia, il Pontefice ha voluto far sue le parole di Giovanni XXIII, che qui visse dal 1935 al 1944 come delegato apostolico (anche questo periodo, poco conosciuto, è stato ricostruito di recente nella biografia Giovanni XXIII. Una vita nella storia, appena uscito da Mondadori e scritto dal pronipote Marco Roncalli): «Io sento di voler bene al popolo turco, presso il quale il Signore mi ha mandato...
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