Dalle grandi imprese sfiorate al calcioscommesse Scrisse libri per denunciare il doping di cui fu vittima

Carlo Petrini ha deciso di andarsene nel momento giusto. La gente di football, e non soltanto quella, sta parlando ancora della morte di Pier Mario Morosini portandosi appresso il pensiero grigio di questo sport così bello e così feroce. La nuvola del doping insegue da tempo il calcio dopo aver scaricato tutti i suoi temporali sul ciclismo e sull'atletica. Carlo Petrini, dopo la sua carriera di cronaca, aveva cercato di fare storia con la sua denuncia, amara, agghiacciante, tremenda sul mondo corrotto del pallone, sugli inganni, sulle droghe nascoste nel the fumante di uno spogliatoio, sulle truffe che avvolsero molte partite e molti personaggi illustri della domenica calcistica. Petrini, si diceva, era scomodo, ripeteva noiosamente le stesse parole, con quel tono drammatico, tenendo la voce bassissima e gli occhi semichiusi, la malattia lo aveva colpito alla vista e poi nel corpo, scorie di cento battaglia e di mille veleni. I suoi gol non fecero epoca, dicianove in A, una quarantina in B, le figurine della Panini lo ricordano con addosso cento magliette, il Lecce, il Genoa, il Milan con il quale arrivò, senza giocare, alla vittoria in coppa dei campioni contro l'Ajax, il Toro con il successo in coppa Italia, il Varese, il Catanzaro, la Ternana, la Roma, il Verona, il Cesena, il Bologna, per poi finire nelle ultime pagine dell'album, il Savona, il Cuneo, il Rapallo Ruentes come allenatore.
Un ragazzo con la valigia in mano e un'esistenza maligna, tre anni e mezzo di squalifica per lo scandalo delle partite comprate e vendute nell'Ottanta, l'amnistia dopo il trionfo azzurro nel mondiale dell'Ottantadue, la fuga in Francia per allontanarsi da strozzini e mascalzoni, la morte per tumore del figlio Diego, diciannovenne e dimenticato anche sull'ultimo respiro, una montagna avvelenata, senza luce, senza speranza, accumulando la rabbia acida contro il mondo che lo aveva tradito, abbandonato, evitato.
Ogni tanto Carlo Petrini riappariva nelle interviste televisive per dire ancora di partite truccate, di micoren e di bava alla bocca, di eccitazioni fasulle e drammatiche, di borse gonfie di denaro sporco. Non sapevi se si trattasse del borbottio di un uomo disperato o, piuttosto, del rantolo di un ex ragazzo al quale avevano regalato illusioni e droghe, correndo dietro il pallone di cuoio.
I suoi libri, di denuncia ovviamente, non sono mai stati oggetto di dibattiti radiotelevisivi seri, approfonditi, in prima serata, forse perché il mondo del football gode di protezioni e tutele, oltre all'omertà, che nessun altro sito può "vantare", il suo anno zero non è mai esistito.
L'urlo di Petrini è rimasto nella sua foresta lontana, impraticabile. Carlo era morto da tempo per gli spettatori e i frequentatori del circo domenicale. Quando ne accennavi il cognome quasi venivi schivato, come un pugile che fugge dal centro del ring. Petrini si porta appresso, con la sua scomparsa, soltanto la parola. Resta la memoria, per chi la vuole conservare, di certi suoi racconti, resta l'immagine di un uomo senza occhi ma con una voce e una testa che frullavano pensieri cattivi.


Morosini sabato, Petrini ieri, domani, forse, gli arresti, molti, di calciatori e affini, coinvolti nelle scommesse. Sembra il tramonto del calcio, di un certo calcio. Proviamo la paura di scriverlo. Ma dobbiamo avere il coraggio di pensarlo.

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