Dalle intercettazioni ci si può difendere

Caro Granzotto, molti anni fa, eravamo all’incirca alla metà degli anni Settanta, il sottoscritto assunse la rappresentanza per l’Italia di una casa tedesca che costruiva apparecchiature ricetrasmittenti e radiotelefoniche sia in modalità Simplex che Duplex, regolarmente omologate, che io diffusi abbastanza rapidamente presso numerosi clienti (aeroporti in particolare, ma anche enti e parecchi utenti privati). Già allora utilizzavamo, se richiesto, un dispositivo anti intercettazioni denominato «Scrambler» che faceva in modo che eventuali intercettatori sentissero solo dei suoni e dei vocaboli incomprensibili che venivano ricomposti e resi comprensibili solo alla persona a cui era indirizzata la chiamata. Con i passi da gigante compiuti dalla tecnologia delle telecomunicazioni mi si vuol far credere che i cosiddetti vip non siano arrivati a dotarsi di un dispositivo da me utilizzato trent’anni fa? E se così non è, perché?


Pare incredibile, caro Ubezio, ma è così: pur sapendo benissimo, spesso a proprie spese, che vige l’intercettazione selvaggia, politici, industriali, finanzieri e vip in genere seguitano a servirsi, per le comunicazioni riservate, di telefoni e telefonini non protetti. Come ha rivelato Panorama, perfino quel volpone di Prodi c’è cascato andando a far raccomandazioni e dispensando piaceri (piaceri di buon peso, se vengono da un presidente del Consiglio, piaceri coi controfiocchi) cinguettando liberamente al cellulare. E sì che come lei scrive sono in commercio apparecchiature, gli scrambler, in grado di limitare se non proprio di eliminare i danni. Lo scrambler, non lo ricordo certo a lei che per primo li ha introdotti negli anni Settanta in Italia, ma al lettore poco pratico di simili accrocchi, è un’apparecchiatura del peso di pochi grammi che utilizzando un sofisticato codice «encritta» la conversazione telefonica riducendola a una sequenza di suoni indistinti che solo chi è all’altro capo del telefono o telefonino ha la possibilità di decodificare. Pertanto, chi legalmente o illegalmente s’intromette nella linea, resta con un pugno di mosche. Oltre allo scrambler esistono altri congegni per tutelare la privatezza telefonica, come ad esempio quello che segnala il tentativo di intercettazione e immediatamente cambia un codice, chiamato Imei, acronimo di International Mobile Equipment Identity, che identifica il telefonino. Tutta roba che si può acquistare anche su Internet sborsando qualche centinaia di euri.
Siamo d’accordo: chi è costretto a ricorrere a simili difese non vive in un Paese civile perché tale non può considerarsi quello che in barba alla sua Costituzione non solo fa un uso illimitato delle intercettazioni, ma le dispone senza assicurare quelle garanzie specificatamente richieste. Però ci sono casi, e questo è uno di quelli, in cui bisogna fare di necessità virtù. La stretta sulle intercettazioni voluta dal governo è già un grossissimo passo avanti, ma noi sappiamo bene come vanno le cose, nel Belpaese: il detto «trovata la legge, trovato l’inganno» per aggirarla, calza bene anche per coloro che la legge sono chiamati ad amministrarla. Sa cosa ci vorrebbe, caro Ubezio? Un’altra norma, simile a quella che impone, sui pacchetti di sigarette, scritte quali «Il fumo uccide», «Fumare fa perdere la tua squadra del cuore» eccetera.

E che a sua volta imponga ai fabbricanti di telefoni e telefonini di stampigliare sopra ogni esemplare la mussoliniana: «Taci, il nemico ti ascolta!» (l’Associazione magistrati non si faccia prendere dalle convulsioni: si dice «nemico» tanto per dire, senza offesa).

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