L’influenza della cultura islamica, sebbene sia un tema molto importante nella storia della critica dantesca, non vuole essere il principale filo conduttore della mostra "Dante e la Commedia", allestita alla Biblioteca di via Senato 14, sede culturale di Marcello Dell’Utri, in quanto questa ha avuto esiti diversi: per certi versi risultati positivi quando si parla di rapporti fra cultura islamica e mediolatina con riferimento in particolare alla libera circolazione di autori, libri, idee, specie negli ambienti scolastici ma con risultati modesti in base a quanto studiato nei manoscritti, termini di un raffronto diretto fra due diverse escatologie.
L’esposizione che rimane aperta fino al 27 marzo, è accompagnata da un ricco catalogo che raccoglie, oltre a vari contributi, un testo di Tullio Gregory, docente di Storia della Filosofia della Sapienza di Roma, ha lo scopo di la cultura europea latina con tutto il mondo del mediterraneo. Del progetto scientifico fanno parte Giovanni Curatola, Francesca Flores D’Arcais, Matteo Noja e Annette Popel Pozzo. La mostra (con ingresso libero e chiusura il lunedì), propone un itinerario curioso attraverso le varie edizioni della Divina Commedia di Dante, dagli incunaboli alle stampe recenti. Ma fu proprio un arabista di fama internazionale che portò il problema posto sopra, con una certa forza; il suo nome era Miguel Asìn Palacios, con Cerulli e da Josè Mundoz Sendino che pubblicarono contemporaneamente, uno con la memoria “L’escatologia musulmana in la Divina Commedia” (1919-seconda edizione 1943) , (di quest’ultimo autore l’edizione è del 1949), “Il libro della scala” di Maometto, testo di escatologia musulmana (di cui l’originale arabo è andato perduto), ma fatto tradurre da Alfonso il Saggio nel 1264 ca., in castigliano e di qui passato in latino e in antico francese per opera di Bartolomeo da Siena. Nella mistica e nella cultura dantesca le escatologie islamiche sono assai difficili da trovare, come già notava un grande arabista Francesco Gabrieli in un saggio dedicato a Dante e all’Islam, approdando ai medisimi risultati di Placìos. Uno dei maggiori dantisti, Bruno Nardi, arrivò alle medesime conclusioni: “Il libro della Scala” fonte della “Divina Commedia”? Fra i secoli XIII e XIV appare allora evidente l’influsso del mondo islamico quale grande mediatore tra la cultura greca e mediolatina.
E’ noto che dalla metà del XII e ancora di più nel XIII secolo. Iniziarono dalla Spagna i flussi d’informazione, specie da Toledo, dalla Francia meridionale, dalla Sicilia (la corte di Federico II ha un’importanza fondamentale). Da Costantinopoli poi, ma anche dall’Inghilterra la cultura veicolava in maniera strepitosa; lezioni latine dal greco e dall’arabo di opere di filosofia, metafisica, medicina, astrologia, alchimia e magia. E se le traduzioni di filosofia di Aristotele erano le più diffuse, tra il XI e il XII secolo, la presenza della cultura islamica pare più incisiva. Tra i filosofi al-kindi e al-Farabi, da Avicenna ad Averroè. Alcuni autori ebrei scrivevano in arabo come Mosè Maimonide. Per iniziativa di Pietro il Venerabile venne tradotto il Corano insieme ad altri testi di religione islamica. Dante è certe che avesse ben presente quest’ultimo con il “De anima”. Ma l’autore della Divina Commedia era passato attraverso Algazel, Magno e d’Abano.
Il percorso si apre con Un incunabolo bresciano del 1487, “Comento sotto la Comedia” di Cristoforo Landino, pubblicato per al prima volta a Firenze nel 1481, illustrato da Botticelli che costituisce il punto di approdo della riscoperta, del “ritorno” di Dante nella sua città umanistica. Dante si sentiva motivato per educare i giovani fiorentini a un nuovo sapere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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