RomaProfessore Augusto Barbera, le riforme costituzionali sono il suo pane quotidiano. È stato anche parlamentare, dunque ha conosciuto il punto di vista dei cosiddetti «tacchini», che mai voterebbero per la riduzione del proprio numero. Non è una bestemmia...
«Ma no, la riduzione del numero dei parlamentari è da tempo un obbiettivo comune delle forze politiche...».
Però starnazzano molto, lì nellaia.
«La questione riguarda piuttosto lo stile con il quale il premier ha lanciato il tema, in modo incoerente, senza dare lidea di crederci... Non si può pensare di ottenere risultati in questa maniera».
Non mi dica che anche lei si accoda a chi pensa che Berlusconi labbia sollevato per deviare lattenzione.
«Può darsi: caso Mills, il divorzio... Lanciata così, lidea della riduzione dei parlamentari ha un che di populistico che può senzaltro far presa sul piano elettorale. Spero che Berlusconi non agiti la Grande riforma come fece Craxi, per non portarla mai avanti...».
Erano tempi molto diversi, e Craxi non aveva mica il potere che ha Berlusconi... Perché non crederci?
«Guardi, il tema è ormai diventato uno di quei mantra un po noiosi, che possono persino portare alla nausea».
Con una buona dose di Maalox possiamo affrontarlo.
«Il governo ha la maggioranza assoluta, spinga la riforma in Parlamento. Ha i numeri. Per di più cè già la bozza Violante, sottoscritta allunanimità nella passata legislatura, che può essere corretta o migliorata, se si vuole... Dulcis in fundo, il 21 giugno abbiamo il referendum: se si raggiunge il quorum e vincono i sì, un processo si mette in moto».
Lei vede una connessione.
«Politicamente cè. Sarebbe una svolta, potrebbe far nascere una nuova legge elettorale e, a quel punto, la riduzione dei parlamentari cè tutta».
Solo cento deputati?
«No, cento no. Mi sembrano pochini, le proposte più ardite sono arrivate a prevedere 5-600 parlamentari in tutto».
Meglio pochi ma buoni.
«No, avrebbero un potere enorme. Anzi, avrebbero la natura di un contropotere, come capita per il Senato degli Stati Uniti. Un modello non auspicabile per un sistema come il nostro... Uno stravolgimento del genere qui da noi non funzionerebbe: meglio mantenere un continuum tra Parlamento e governo...».
Berlusconi non è il primo a lamentare una carenza di poteri del premier. Cesarismo o esigenza reale?
«Questo è un problema vero e delicato, che non può essere banalizzato nella formula: più poteri a Berlusconi o Berlusconi ha troppi poteri. Per questo preferibilmente si parla di poteri del governo: è evidente che lutilizzo sempre crescente di decreti-legge, maxi-emendamenti e questione di fiducia nasce dal fatto che il governo non dispone di adeguati poteri nel procedimento legislativo. Cosa che riguarda sia chi è al governo, sia chi è allopposizione. Perché è chiaro che con gli strumenti di cui sopra lopposizione non è più in grado neppure di discutere un provvedimento, e quindi di poter svolgere il proprio compito... Il deterioramento della vita parlamentare non conviene né alla maggioranza né allopposizione».
Unaltra riforma possibile.
«Più che possibile, essenziale. E non necessita neppure di modifica costituzionale, basterebbe una seria riforma dei regolamenti parlamentari...».
Referendum bipolare, legge elettorale, riduzione dei parlamentari e rafforzamento dei poteri del premier: se si volesse, tutto a portata di mano. Poi occorrerebbe sciogliere lattuale Parlamento e andare alle urne?
«Non è strettamente indispensabile. Considerando i tempi dei passaggi parlamentari, direi che su per giù ci troveremmo a ridosso della scadenza naturale della legislatura».
Da sostenitore della prima ora del sistema maggioritario e bipolare, ha mai avuto ripensamenti?
«No. Anzi, direi che dal 93 a oggi abbiamo fatto dei grandi passi in avanti».
Neppure la riduzione della dialettica a sole due forze politiche, con la conseguente banalizzazione delle polemiche, le ha mai fatto venire dubbi?
«No».
La sparizione delle altre forze, conseguenza delleventuale sì al referendum, non è un impoverimento?
«Per nulla.
Cosa resta? Un diritto di tribuna.
«Molto più. E non mi sembra una catastrofe per la democrazia...».
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