Guido Mattioni
da Milano
«Invasori». Non hanno lesinato certamente nei toni forti, le autorità sudanesi, al momento di scegliere le parole da usare nei confronti di un eventuale invio di «caschi blu» dell’Onu nel Paese africano per cercare di pacificare l’insanguinata regione del Darfur. «In assenza di un consenso da parte del Sudan in merito al dispiegamento di truppe delle Nazioni Unite - si legge nella lettera non firmata, ma recapitata direttamente a dozzine di Paesi membri da parte della rappresentanza del governo di Khartum presso l’Onu - qualsiasi disponibilità a fornire truppe di peacekeeping per il Darfur sarà considerata come un atto ostile, il preludio dell’invasione di uno stato membro delle Nazioni Unite».
L’invio della missiva (che è stata fatta pervenire giovedì scorso ai rappresentanti di quei Paesi membri che il 25 settembre scorso si erano riuniti per studiare l’eventuale invio di caschi blu) ha messo così ulteriormente a rischio i tentativi di scongiurare quella che il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, nell’ultimo rapporto mensile sul Darfur, ha dipinto a tinte fosche. «La regione sudanese è nuovamente sull’orlo di una situazione catastrofica», ha scritto Annan sottolineando l’urgenza di «un’operazione umanitaria» e dando altresì conto del crescente clima di violenze, stupri e insicurezza generale che vige nella regione a dispetto dell’accordo di pace siglato tra il governo di Khartum e uno dei gruppi ribelli che spadroneggiano nella zona insieme a diverse milizie locali e a squadracce di banditi e tagliagole.
La conseguenza di questo scenario è un autentico inferno in terra per il controllo di un’area ricchissima di petrolio dove perdipiù si sovrappongono mai sopiti odii tribali e religiosi. Un inferno che dal 2003 è costato la vita ad almeno 200mila persone costringendo 2,5 milioni di civili a trovare rifugio nei campi profughi sorti alla periferia della capitale e ai confini con Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana. In realtà, si tratta di sconfinate e arroventate baraccopoli che diventano ogni giorno più grandi, dove si muore per mancanza di cibo, acqua e medicinali nell’assenza di qualsiasi legge che non sia quella della violenza e della sopraffazione.
La lettera della rappresentanza sudanese non fa che peggiorare questo quadro, anche perché tra le tante irritazioni suscitate c’è anzitutto quella, prevedibile, degli Stati Uniti. Il cui rappresentante all’Onu, l’ambasciatore John Bolton, un fedelissimo di George Bush con la fama di «falco», non ha perso tempo diffondendo già ieri la bozza di una dichiarazione diretta ai Paesi membri del Consiglio di Sicurezza. Nel documento, anticipato dall’agenzia di stampa Reuters, si legge che il Consiglio «deplora» il tentativo della missione sudanese di «intimidire le potenziali forze volontarie per una missione di peacekeeping nel Darfur. Questo gesto aggressivo del Sudan nei confronti degli Stati membri è una sfida alle volontà del Consiglio di Sicurezza (che ha autorizzato l’invio di 22.500 uomini nella regione, ndr)», si legge ancora nella bozza della delegazione statunitense, configurandosi così di fatto come un «inaccettabile comportamento da parte di uno stato membro dell’Onu».
Nel suo documento Bolton sottolinea inoltre l’evidente incoerenza esistente tra la lettera della delegazione sudanese e il messaggio che il presidente Omar Hassan al-Bashir aveva inviato proprio nei giorni scorsi ad Annan e in cui dava invece il benvenuto agli aiuti logistici delle Nazioni Unite e alle altre forme di sostegno destinate alla scalcinata missione dell’Auf (African Union force) che - totalmente priva di mezzi e motivazioni - si sta rivelando del tutto incapace di arginare le violenze nello sconfinato (510mila chilometri quadrati) scatolone di sabbia del Darfur. Un’incapacità che peraltro non sembra turbare più di tanto il governo di Khartum, che piuttosto che trovarsi in casa truppe Onu, pare preferire il tragico caos assicurato dalla mal pagata e stracciona forza di interposizione dell’African Union, composta da 7mila soldati.
Per essere fatta propria dal Consiglio di Sicurezza, la dichiarazione di Bolton deve raccogliere adesso l’approvazione di tutti e 15 i suoi membri, compresa quella del rappresentante del Qatar (unica «voce» araba in consiglio), che però ha sempre appoggiato le posizioni del governo di Khartum.
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