«Dario lo vedo pure in calze a rete»

Carlo Rossella, presidente di Medusa film ma qui in veste di «maestro» di eleganza: ha visto il calzino?
«Sono al Festival del cinema in Giappone, ma me lo sono fatto raccontare. Però mi manca un tassello fondamentale: era lungo o corto?».
Sappiamo solo che era azzurro.
«Perché vede, già la parola fa ribrezzo. Calzino è sinonimo di mezza calzetta».
Dal tipo di calzino si può risalire al tipo d’uomo?
«Ma certamente! Il calzino corto è simbolo di trasandatezza, quello corto bianco fa orrore, è contro natura, e infatti è da provocatori».
E quello colorato?
«Rimanda a una persona che se ne frega delle convenzioni, a un certo snobismo pauperista. A meno che non sia rosso».
Perché il rosso si distingue?
«I calzini rossi li vendevano alle feste comuniste, dieci paia 50 lire. Ma li mettevano solo i mungitori. Con gli zoccoli».
Lei sullo charme ha appena scritto un libro con Fabiana Giacometti, «La sciarpa a pois». Sfoderi la sua memoria storica.
«Nella prima Repubblica per fortuna, tolto il rosso di cui sopra, i colori non esistevano. Solo blu scuro, grigio, nero. Ma in molti furono sorpresi col calzino corto».
Tipo?
«Il segretario della Cgil Agostino Novella, persino Giorgio Amendola, che pure era uomo di grandissimo gusto. E poi Antonio Gava, Amerigo Petrucci, pure Palmiro Togliatti e Luigi Longo. Nel partito liberale invece erano vietati».
Comunisti e democristiani, la trasversalità del calzino.
«Il compromesso storico misurato su una certa comunanza del gusto. Del resto c’erano molte mezze calzette, nella prima Repubblica, soprattutto a sinistra. Però Enrico Berlinguer non li indossò mai, e così Luciano Lama. E neppure Stalin, ne sono sicuro».
Corti neri o corti bianchi?
«Corti bianchi li indossava solo la sinistra, faceva molto kennedyano. In realtà Kennedy non li avrebbe mai indossati. Magari per fare jogging a Cape Cod, ma mai alla Casa Bianca».
Ma i colori sono proprio vietati?
«Al massimo posso ammettere un mocassino Tod’s scamosciato con calza a quadri. Altrimenti meglio niente calza».
Insomma dimmi che calzino hai e ti dirò chi sei.
«Il cobalto è il massimo della provocazione snobistica, è da deputato laburista o da professore di vecchio college inglese. Voglio dire, io lo indosserei solo se Ahmadinejad mi sequestrasse e minacciasse di torturarmi. Uno per scegliere un calzino del genere al mattino deve rifletterci sopra».
Lei scherza, ma qui dopo il servizio del tg5 sui calzini del giudice Raimondo Mesiano pare di stare davvero ai tempi di Kennedy, invece del «Siamo tutti berlinesi» c’è il grido: «Abbiamo tutti i calzini turchesi».
«Infatti adesso il calzino è simbolo di libertà di stampa: ben venga il Paese in cui, dopo tante dotte discussioni, ci si può finalmente attardare a parlare di cose serie come questa...».
Dario Franceschini li ha indossati per mostrarli in tv.
«Ah, be’, ma Franceschini per un voto in più metterebbe anche le calze a rete».
E Bersani?
«Bersani non indosserebbe mai i calzini azzurri. Così come D’Alema e Rutelli».
La classe non è acqua.


«Li vedrei invece su Di Pietro o su Donadi. E su Travaglio».
Dice?
«Si potrebbe fare così. La Lega ha la pochette verde, il Pdl ha il blazer blu. I giustizialisti d’ora in poi indossino il calzino azzurro, per rendersi subito riconoscibili».

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