"Date una medaglia al mio papà morto a Nassirya"

Appello nel giorno dell’anniversario della strage, avvenuta quattro anni fa. Fabio Merlino, il figlio di uno dei carabinieri: "Lo Stato dica perché li ha dimenticati"

"Date una medaglia al mio  
papà morto a Nassirya"

«Sto scrivendo un libro su mio padre. Ma l'ho sospeso, il libro è interrotto».
Fabio, i libri iniziati non si possono interrompere, lo sai.
«Certo, ma voglio chiuderlo con la medaglia. La chiedo da quattro anni, gliela devono dare, oppure...».

Oppure?
«I politici mi devono spiegare perché la negano».
Fabio Merlino aveva tredici anni quando gli hanno ucciso il papà alla base Maestrale di Nassirya. Le immagini di quei giorni lo ritraggono in carrozzina, vestito da carabiniere, forte nonostante le lacrime, mentre guardava la foto del padre nella camera ardente dell'Altare della Patria. Il maresciallo Filippo Merlino andava in missione anche per suo figlio. Per sostenere le spese delle cure. Ed è fortissimo Fabio, adesso che ha 17 anni, obbligato alla sedia a rotelle, ma con un sogno: «Voglio entrare nel Ris, è la mia passione».

Fabio, sarai carabiniere come tuo padre?
«Sì».

Lo volevi da sempre?
«Volevo farlo prima e quello che è successo mi ha dato la spinta».
Hai già parlato con qualcuno ufficialmente di questo tuo desiderio?
«No, veramente. Mi mancano ancora due anni di scuola. Poi devo fare domanda per entrare nei carabinieri, e ci saranno cinque anni di studio, a me non piace molto studiare».

Ma è quello che vuoi, giusto?
«E' quello che voglio, e studierò. Mi piacerebbe occuparmi di balistica nel Ris».

Perché?
«Perché voglio fare il carabiniere, ma il lavoro di ufficio non mi piace. Quello sarebbe un lavoro di ufficio, ma operativo».

Se ti chiedessero di andare in missione, come tuo padre, partiresti?
«Certo, partirei. Credo di avere uno spirito di sopravvivenza. Nel senso: mi piace trovare le soluzioni nelle situazioni estreme».

Che carabiniere sarai?
«Mio padre mi ha insegnato il rispetto degli altri. Lui aiutava tutti. E in questi anni tante persone che non conoscevo mi hanno scritto per dirmi delle volte in cui avevano bisogno di mio padre, e lui c'era».

E qual è l'obbiettivo che vorrai raggiungere con quel lavoro?
«Credo essere utile, contribuire alla verità».

La verità: vuoi dire la verità anche sulla missione in Irak a cui ha partecipato tuo padre, per come l'hai vissuta tu?
«Era una missione di pace. In un libro un iracheno racconta di aver riconosciuto il suo amico maresciallo Merlino, mio padre, in una foto».

Sei a Roma per il quarto anniversario dell'attentato. Ci ripensi a quei giorni, in questa stessa città?
«Sì, a volte vorrei tornare indietro proprio a quei giorni».

Non ti fa male?
«Il calore della gente mi ha sostenuto. Per questo a volte tornerei a quei momenti. C'era un'unità...».

Perché, secondo te, quell’unità?
«L'hanno sentito, hanno sentito qualcosa. Ed erano eroi per tutti. Sembrava una grande famiglia. Rivedo spesso quelle immagini, era magico».

Eri un ragazzino, ma l'immagine che non dimenticherai?
«Quando le ali della folla applaudivano per tutto il tragitto delle bare dall'Altare della Patria alla basilica di San Paolo».

Perché, secondo te, a volte sembra che sia stato dimenticato?
«La gente non ha dimenticato, e non vuole dimenticare. È stato il calore delle persone che mi ha sostenuto. Sicuramente la gente non ha dimenticato questi 19 eroi, e per questo non lo dovrebbero fare neanche gli uomini dello Stato».

Sarai carabiniere, e anche scrittore per tuo padre?
«Ho scannerizzato al computer gli attestati che papà ha ricevuto negli anni. Poi ho le foto che erano nel suo borsone che aveva in missione. Ho contattato alcuni suoi colleghi, che scriveranno delle testimonianze, e io scriverò la mia, su mio padre».

Hai già idea di cosa scrivere?
«Ogni tanto scrivo, poi cancello. Sto pensando. Il libro è interrotto, mi sono fermato apposta, finchè non c'è la medaglia d'oro...».

I libri non si interrompono.
«No, e infatti, anche se non mi piace tanto scrivere, credo che la medaglia d'oro mi farebbe andare avanti. Finirei il mio libro, lo prometto. Perché saprei come concluderlo».

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