Controcultura

D'Avenia: "Sistema che fissa le iniquità"

Sui fondi: "Ogni studente costa al Paese 7mila euro, ma vengono spesi male"

D'Avenia: "Sistema che fissa le iniquità"

Classe 1977, nato a Palermo, insegna da oltre dieci anni Lettere al Liceo San Carlo di Milano, dove è «nato» anche Bianca come il latte, rossa come il sangue (oltre un milione di copie vendute), il suo esordio. Dalla scuola, infatti, e verso la scuola, e i giovani, vanno i libri di questo «profduepuntozero» (il nome del suo blog), compreso uno dei dieci più venduti del 2017, L'arte di essere fragili e l'ultimo nato, Ogni storia è una storia d'amore, entrambi arrivati anche a teatro, tutti Mondadori.

In Italia quale posto occupa la scuola nelle scelte dello Stato?

«Il balcone. La si usa per fare comizi e garantirsi voti, per poi dimenticarsene. Si raccontano riforme che riforme non sono, ma politiche di mantenimento a fronte di numeri di dispersione scolastica paurosi. Per fare una riforma ci vogliono investimenti importanti, invece il nostro Paese stanzia solo un 4% del Pil per scuola e ricerca, siamo terzultimi in Europa. Ma non è neanche questione di Pil: per ogni studente di scuola statale si stanziano quasi 7mila euro l'anno. Che non corrispondono al servizio ricevuto».

È davvero libera la scelta della scuola nel nostro Paese?

«Ci sono libri su libri - si vedano da ultimi quelli di Raimo, Tutti i banchi sono uguali e Fubini, La maestra e la camorrista - che da prospettive molto diverse dicono la stessa cosa: siamo un Paese in cui la scuola statale, invece di garantire la mobilità sociale come recita la Costituzione, conferma le diseguaglianze di partenza. Purtroppo, la scuola in Italia non è un ascensore sociale, ma un ammortizzatore sociale».

Che cosa pensa dell'introduzione di un «buono scuola» per scegliere la scuola da frequentare, pubblica o privata?

«Lo ripeto: ogni anno uno studente costa allo Stato quasi 7mila euro, una retta alta in una scuola non statale. C'è una dispersione di fondi inspiegabile rispetto allo stato dell'edilizia scolastica e all'offerta formativa. Nel resto d'Europa lo Stato interviene per garantire la libertà di scelta alle famiglie. Basterebbe dare loro quei 7mila euro - o anche la metà, secondo gli esperti - perché possano scegliere liberamente dove mandare i figli. Senza un buono scuola chi subisce sono le famiglie meno abbienti, che di fatto non hanno possibilità di scelta diversa. I diplomifici sono il correttivo di un sistema malato».

Poter scegliere il tipo di educazione introdurrebbe una competitività tra scuole che migliorerebbe lo stato generale dell'istruzione?

«La competizione lasciata a se stessa non farebbe altro che confermare le disuguaglianze di partenza, così come accade con il controllo statale totale. C'è una via mediana da creare e percorrere: liberare la scuola dall'asfissia burocratica, rendere libera la mobilità degli insegnanti, distribuire in modo intelligente i fondi stanziati per ogni studente.

Per creare un livello comune, statale o non statale, sul quale ogni scuola costruirà la propria offerta specifica».

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