Cultura e Spettacoli

Davide Parenti «Le iene moraliste? Facciamo la tv che ci piace»

«Un programma così lo si può fare solo su Mediaset. Siamo una zona franca e con i soldi che facciamo guadagnare ci pagano gli avvocati»

Maurizio Caverzan

da Milano

Mixer, Mi manda Lubrano, Scherzi a parte, Milano-Roma, Barracuda e Matrix. È il curriculum di Davide Parenti, la mente delle Iene, giunte alla decima edizione e mai come quest’anno al centro del nostro paesino globale. Mantovano, classe 1957, ex giornalista dell’Unità, svezzato alla televisione da Antonio Ricci, conserva un po’ di gratitudine anche per Giovanni Minoli.
Imputato Davide Parenti, lei è colpevole di realizzare una tv moralistica. Dietro l'ironia si cela il volto giustizialista delle Iene. Come si dichiara?
«Intanto, non sono solo. C’è un gruppo di persone molto eterogeneo che lavora con me. Persone che fanno la tv che guarderebbero. È come se, da padroni di un ristorante, potessimo cucinare i piatti che piacciono a noi. Moralisti sì. Ma di una morale tutta nostra».
Secondo il Garante i vostri servizi violano la privacy ed estorcono informazioni «attraverso l'inganno» come nel caso del test antidroga ai politici.
«Il Garante fa il suo mestiere e il dibattito è giustificato. Ma non abbiamo mai violato la privacy. Quando mandiamo un servizio che smaschera un ladro, anche di quello copriamo il volto o distorciamo la voce. Mostriamo il peccato, non il peccatore. Nessuno di noi sa quali dei 50 parlamentari esaminati faccia uso di droghe. È un test fatto apposta perché il risultato non sia abbinabile a un'identità precisa. In tutta questa faccenda mi sembra si sia guardato il dito e non la luna che se ne sta là in fondo. La notizia è finita in prima pagina sul Times e su tutte le tv del mondo».
Giornalismo fatto con le imboscate. E con l’indice alzato...
«L’indice alzato non va bene. Ma io credo che se dici che il 32 per cento dei parlamentari fa uso di droghe, dai una notizia. Prima ancora di fare la morale, dici che chi fa le leggi contro le droghe poi ne fa uso».
Altro capo d’accusa: il qualunquismo. Il ceto politico ne esce sempre con le ossa rotte...
«Il ceto politico ne esce com’è. Ci hanno rimproverato di non mandare in onda le risposte giuste alle domande di Sabrina Nobile. Certo, ci sono anche quelle, ma la notizia è quando i parlamentari non sanno rispondere sul Gulag o la Consob, non quando lo sanno».
Cosa mi dice dell'inclinazione verso temi pruriginosi come il mondo della prostituzione, i locali per scambisti...
«Le inchieste sul mondo della prostituzione sono nate dieci anni fa con le Iene. È un fenomeno che riguarda 10 milioni di italiani. Abbiamo tentato di capire come funziona. Ora le inchieste sulla prostituzione le fanno tutti e noi abbiamo smesso. Nelle ultime dieci puntate abbiamo dedicato i servizi lunghi alla Tav, ai bambini uccisi nel Congo perché presunti indemoniati, alle carrette del mare a Lampedusa, alle carceri in Sud America».
Le interviste doppie si ripetono spesso: alle femminucce chiedete di simulare un orgasmo, ai maschietti chi ce l'ha più lungo...
«L’intervista doppia è un formato che ci hanno copiato in tanti. Le domande sono dirette, c'è una certa licenza. È un’idea nostra che è entrata nel patrimonio della tv come i faccia i faccia di Minoli».
È laboriosa da realizzare?
«Con le nuove tecnologie servono otto ore di lavoro per 4 minuti d’intervista. Altrimenti ci vorrebbero dieci giorni. Eliminiamo le pause, le parole di troppo, un lavoraccio».
Con quella faccia Lucci può mandare scariche di sarcasmo stando zitto. Sulle pensioni ha chiesto alle pornostar come si usurano dopo migliaia di penetrazioni...
«Il tema era l’età giusta per andare in pensione. Farlo con le pornostar è un'idea, anche un’idiozia, una provocazione. Per me, Lucci è uno dei dieci campioni della televisione di questi anni. È il nostro Maradona: spiegare il meccanismo comico-grottesco di Maradona non è facile».
Come nascono i servizi?
«La metà da segnalazioni al sito, il 20-30 per cento dai giornali, l'ultimo 20-30 per cento sono idee nostre come i documentari di Gip sui cinque sensi, o il corso d’inglese di Mr. Brown...».
Come fa il casting alle iene? C’è una prova alla quale le sottopone?
«Siamo partiti dal lavoro di una quindicina di persone. All'inizio abbiamo chiamato i nostri amici. Berry aveva lavorato con me a Scherzi a parte, Giulio Golia era con me in La sai l’ultima. Lucci mi è stato segnalato dal marketing di Mediaset. Sortino l’ho sentito a Radio Capital dove faceva un programma di un minuto e mezzo. Alessandro Cattelan di Mtv ha appena esordito. Se si presenta qualcuno con un’idea che ci convince lo mandiamo in onda. Poi può tornare, sparire...».
Ci sono anche le iene diventate famose una volta che hanno intrapreso una strada nuova come Teo Mammucari, Victoria Cabello, Fabio Volo, la stessa Simona Ventura...
«Nessuno se n’è andato per dissapori o contrasti. Con tutti è rimasto un ottimo rapporto e la consapevolezza di aver condiviso un’avventura».
Da niente a insopportabilmente, quanto è rompiscatole nel lavoro?
«Direi insopportabilmente. Il fatto è che la passione è tanta, curiamo i dettagli di tutto. Uno che fa un servizio lo mostra a un altro e gli chiede un parere. Magari ne nasce una critica, si discute. Siamo privilegiati perché facciamo quello che ci piace. Ci viene in mente di andare a vedere le carceri sudamericane? Ci andiamo. Di intervistare Gaucci a Santo Domingo? Lo facciamo. Bastano una telecamerina e due persone, la iena e l’autore che fa anche il fonico, il cameraman, il montatore. E un po’ di onestà».
Onestà?
«Nel senso che le cose buone ce le sudiamo. Qualche anno fa ci segnalarono un paesino dove imponevano la raccolta differenziata e poi arrivava un camion che tirava su e mischiava tutto. Per documentarlo, Pellizzari rimase davanti al cassonetto 4 giorni e 4 notti».
Da giovane lei ha lavorato in un manicomio: com'è arrivato a Mediaset?
«Ho lavorato nel manicomio di Mantova negli anni ’70, all'epoca della riforma Basaglia. Poi, negli anni ’80, ho aperto un locale a Bologna dove si esibivano cantanti, comici, attori diretti da Patrizio Roversi. C’erano Syusy Blady, Vito, i Gemelli Ruggeri. Andammo da Ricci e nacque Lupo solitario».
A Mediaset siete più amati, stimati o tollerati?
«Direi amati e stimati. Almeno da Piersilvio Berlusconi e Alessandro Salem... Ci hanno lasciato crescere senza troppo controllo. Siamo una zona franca che spesso entra in collisione con le esigenze di un gruppo che vive di pubblicità. Un programma così lo si può fare solo a Mediaset».
Perché?
«Perché ci hanno permesso di creare problemi. Mediaset guarda ai risultati e poi magari ci dice “avete fatto una cazzata”. E ci dà i soldi per difenderci con gli incassi che arrivano dallo sfruttamento del marchio delle Iene (come per esempio nel caso di Iene Clio Renault) per pagarci gli avvocati».
Cosa c'è nel suo passato che l'ha reso così?
«Sono cresciuto in modo poco scolastico, in mezzo a degli intellettuali. Di mio, sono ignorante, ma ho respirato la cultura degli altri. Ho solo chiare un po' di cose, e le faccio».
Perché l'esperimento con Mentana non è decollato?
«Sì, non è stato quello che volevamo all’inizio. Io avrei creato una struttura più solida. Ma quando un giornalista del calibro di Mentana va in video con la sua faccia, è giusto che determini tempi e modalità del programma».
Un aggettivo per la iena Simona Ventura.
«Questo mi mette in difficoltà... La numero uno».
Per Alessia Marcuzzi.
«La numero uno bis».
E Cristina Chiabotto.
«La numero tre».
Cosa fa quando non si occupa di tv? Ha un rifugio, un’isola psicologica?
«Nessun rifugio. Tra Iene e Matrix sono in diretta quattro sere a settimana. Difficile staccare con la testa. Quando ci riesco sto con i figli, faccio i compiti con loro... Un lavoro così gratifica molto. Mi è capitato di andare in vacanza e per divertirmi di più mi sono inventato Turisti per caso. Da poco ho imparato a fare vacanza davvero. Nuoto, faccio windsurf...

».

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