Quella sera indossava un abitino da sera che la madre le aveva messo in valigia per i galà. È morta così la piccola Dayana, 5 anni, la bambina di Rimini che la madre si ostinava a considerare ancora viva. Molti naufraghi l’avevano vista, prima di abbandonare la Concordia, o erano convinti di averla incrociata in quei momenti di caos. L’incertezza è finita ieri con il ritrovamento e il recupero del corpicino da parte dei sommozzatori che continuano a scandagliare il gigantesco relitto.
La tragedia della Concordia sembra non finire mai: è un Titanic sempre visibile, immobile col suo carico di morte a pochi metri dal Giglio. Ieri dunque sono stati avvistati otto cadaveri; quattro (uno è, forse, il papà di Dayana) sono stati riportati a riva, per gli altri ci vorrà tempo perché le condizioni del mare sono peggiorate. Nelle stesse ore l’inchiesta della procura di Grosseto ha avuto un’improvvisa accelerazione con l’iscrizione nel registro degli indagati di ben sette persone: quattro ufficiali di plancia e tre dirigenti della Costa Crociere. Insomma, nel momento in cui la contabilità dei lutti si allunga ancora, cominciano a emergere le responsabilità di chi per una ragione o per l’altra non avrebbe fatto tutto quello che poteva e doveva. Certo, il principale indiziato del disastro resta il comandante Francesco Schettino, sempre agli arresti domiciliari nella sua casa di Meta di Sorrento. È lui ad aver guidato con criminale incoscienza il transatlantico fino allo scontro con gli scogli delle Scole, ed è sempre lui ad aver gestito con approssimazione e viltà le ore successive, fino alla scelta sventurata di abbandonare la Concordia prima che tutti fossero scesi. Ma la tragedia non può essere circoscritta all’imperizia di Schettino e di Ciro Ambrosio, primo ufficiale di coperta, pure indagato dall’inizio.
Ora con l’accusa di omicidio colposo, naufragio e omesse comunicazione alle autorità marittime, entra nell’indagine un robusto pacchetto di nomi: gli ufficiali Andrea Bongiovanni, Roberto Bosio, Silvia Coronica e Salvatore Ursino. Più tre pezzi da novanta di Costa Crociere: il vicepresidente esecutivo fleet operation Manfred Ursprunger, il capo dell’unità di crisi Roberto Ferrarini e il fleet superintendent Paolo Parodi. Gli ufficiali e il management della Costa sono nel mirino a vario titolo per la gestione di tutta l’emergenza: l’urto, l’evacuazione, i soccorsi a terra. Ferrarini è il supermanager che si sentì più volte al telefono quella notte con Schettino. Schettino ha sempre sostenuto di aver immediatamente spiegato a Ferrarini la gravità, anzi la drammaticità della situazione, chiedendo mezzi e aiuti: in particolare elicotteri e rimorchiatori. Ma a Genova, al quartier generale della Costa, lo smentiscono Schettino su tutta la linea: il comandante non avrebbe chiarito la portata del dramma, anzi avrebbe minimizzato e poi cercato una copertura, ovvero una versione di comodo da concordare per depistare le autorità.
Ora però il quadro delle responsabilità si allarga. Ursrpunger, ascoltato il 7 febbraio, sarebbe stato in contatto la notte del 13 gennaio, con Manrico Giampedroni, il commissario di bordo eroe, fortunosamente salvato ore e ore dopo. La mossa della procura arriva alla vigilia dell’incidente probatorio che si svolgerà a Grosseto il prossimo 3 marzo, quando verranno aperte le scatole nere.
Intanto, la nave continua a restituire con esasperante lentezza chi non c’è più. Ora anche Dayana avrà una tomba. La madre, che aveva rivolto un appello disperato attraverso le telecamere di Chi l’ha visto?, è partita subito per Grosseto. Ma non riconoscerà il corpo della figlia. Troppo dolore.
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