De Benedetti sempre in cattedra: ora vuole Prodi al Quirinale...

Dopo aver "lanciato" Monti a Palazzo Chigi, ora è il turno di Prodi. Decidere a tavolino il futuro dell'Italia è l'ultima spiaggia di chi non ha né leader né voti

De Benedetti sempre 
in cattedra: ora vuole 
Prodi al Quirinale...

L'unica cosa certa è che il buon Ber­sani non va be­ne. Perché? Il so­spetto è che sia tutta col­pa della bocciofila. Ber­sani come immagine re­sta uno di paese e in que­sta sinistra boiarda e sa­lottiera, con una mano nella finanza e l’altra in Procura, con Umberto Eco che legge Kant e Sa­viano che riscrive i dieci comandamenti, con l’Icarus di D’Alema e l’orecchino di Nichi, con i litigi a mezzo stam­pa tra Santoro e la Rodo­tà su dove mandare i fi­gli a scuola e quale Bmw sia abbastanza po­polare uno come lui, fi­glio di un meccanico di Bettola, fa la figura del­l’imbucato.

Il grande dilemma è dove trovare quello giu­sto. Forse non c’è e allo­ra come diceva Corrado Guzzanti la soluzione è un’altra: se la sinistra non rappresenta più gli elettori, cambiamoli questi benedetti eletto­ri. Anzi, a pensarci be­ne, ma siamo davvero si­curi che il suffragio uni­versale sia così demo­cratico? Magari è solo un’invenzione prefasci­sta.

Carlo De Benedetti, per esempio, si sta impe­gnando da tempo, da ve­ro filantropo, a cercare un candidato con le car­te in regola. Uno da prendere e assumere, senza passare per quel­la festa popolare che chiamano primarie. I curricula non manca­no. Il primo requisito, non si sa bene perché, è che si chiamino Mario. L’ingegnere infatti ne ha scelti due: Mario Dra­ghi e Mario Monti. Il pri­mo è buono se non va al­la Bce. Il secondo è an­cora meglio. È un baro­ne universitario, si muo­ve bene nelle lobby del­la finanza ed è anche una citazione cinemato­grafica. È quello che mancava. Una sinistra alla Monty Python.

Avete presente il film Brian di Nazareth ? Con la scena del filosofo no­ioso? Ecco. L’impatto più o meno è quello. L’unico problema è tro­vare qualcuno che lo vo­ti. Ma questo con la nuo­va democrazia a scarta­mento giudiziario non è un problema. Mica vo­gliamo far votare anche i berlusconiani? In qual­che modo tutto si accomoda. L’ingegnere assicura che sul nome di Monti sono tutti d’accordo: «D’Alema, tutto il Pd, che è il maggior partito d’opposizione, non c’è nessuno che non voglia Monti». E Bersa­ni? A Bersani qualcuno prima o poi lo dirà. Non è giusto lasciarlo lì a bagnomaria, a guidare un’op­posizione fantasma, mentre in­torno tutti giocano al «dacci oggi il nostro leader quotidiano».

La sinistra ogni volta che imma­gina di sconfiggere Berlusconi si incarta su se stessa. Comincia a pensare come vincere le elezioni e più ci pensa più si complica la vita. È come se un ipotetico post Cav li lasci orfani dell’unico moti­vo per cui sanno stare insieme. Ed esce fuori la vera anima della loro cultura politica. Non sono un partito, non sono una coalizio­ne, ma un insieme litigioso di feu­di ognuno con le sue ambizioni e i suoi interessi. Il Pd è un feudo di feudi, ed è quello più grosso, ma è troppo diviso per inventarsi una leadership. Poi arrivano gli altri: Repubblica, il Fatto, i pro fi­de Saviano, il partito togato, Mi­cromega con le sue liste civiche che naturalmente rompe le scato­le a Di Pietro, Vendola che com­pete con Grillo. Ci vorrebbe ap­punto un Papa straniero che met­ta tutti d’accordo. Hanno pensa­to a tutti, perfino a Fini e Casini, il dubbio è che questa figura leg­gendaria non esista. Potrebbero affidarsi agli elettori. Ma è qui la sorpresa. Non si fidano.

Alla fine dei giochi si arriva sempre allo stesso punto. Il futu­ro della sinistra è nella mani di una classe dirigente obsoleta, oligarchica, e malata di anti po­polarismo. Una sinistra per cui la politica è un gioco di società. Una sorta di mix tra Monopoli, Risiko e una spruzzata di Gran­de Fratello, quest’ultimo tanto per dare un’idea di televoto. I go­verni andrebbero progettati a ta­volino, quel carrarmatino lo met­to qui, quell’altro lì. Tipo «Mon­ty Pithon» a Palazzo Chigi e al po­sto di quel tentennatore di Napo­­litano, che ancora si fa scrupoli istituzionali, si catapulta il sem­preverde Prodi al Quirinale.
L’espresso ha già lanciato la cam­pagna elettorale. Poi ai ministri ci pensa Eugenio Scalfari. Come bestemmiava D’Alema ieri sera a Montecitorio: «Aspetto l’edito­riale di Repubblica di domenica per sapere chi sarà il mio nuovo candidato». Il presidente del Co­pasir non ha gradito la mossa di De Benedetti, soprattutto per­ché l’ingegnere continua a dire che tutti i nomi sono concordati con lui. A D’Alema questa demo­crazia tra pochi intimi non di­spiace. È un po’ come tornare al vecchio Pcus, il comitato centra­le sceglie l’uomo del destino, e poi si chiede al popolo di contro­firmare pro forma.

Solo che non ha ancora avuto il coraggio di di­re a Bersani: amico mio, sei in no­mination. Qualsiasi cosa accada sarai sempre un segretario pre­cario.

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