Milano - Tanti, maledetti e subito. Carlo De Benedetti non vuole aspettare il processo d’appello, anche se dai fatti - la «guerra di Segrate», ovvero lo scontro con Silvio Berlusconi per il controllo della Mondadori - sono passati ormai diciott’anni, e si può immaginare che un paio d’anni in più o in meno non farebbero poi questa grande differenza. Anzi, secondo i legali dell’Ingegnere proprio il tempo trascorso rafforza il diritto del loro assistito a incassare senza altri ritardi i 750 milioni di risarcimento che il 3 ottobre scorso il giudice Raimondo Mesiano ha disposto a favore della Cir, la holding dell’editore di Repubblica. A pagare, dice la sentenza, deve essere la Fininvest di Silvio Berlusconi, che nel 1991 avrebbe conquistato il controllo della casa editrice milanese corrompendo uno dei giudici chiamati a dirimere lo scontro tra i due imprenditori.
Ieri gli avvocati di De Benedetti hanno depositato alla Corte d’appello di Milano l’atto con cui si oppongono a qualunque sospensione o rinvio del pagamento del gigantesco bonus. Era l’ultimo giorno utile, d’altronde, perché la Cir facesse valere le proprie ragioni in vista dell’udienza che segnerà un passaggio decisivo di questa annosa vicenda. Martedì 1 dicembre la Corte d’appello milanese deciderà se i 750 milioni di risarcimento vadano pagati immediatamente da Berlusconi a De Benedetti, come prevede la sentenza Mesiano e come l’Ingegnere pretende nelle quattro pagine depositate ieri; o se invece, come chiede il Cavaliere, il pagamento debba essere sospeso fino a quando non si sarà celebrato il processo d’appello vero e proprio, cioè - con i tempi della giustizia civile a Milano - circa un paio d’anni.
Gli argomenti della Fininvest per chiedere che il pagamento venga congelato sono noti. Gli avvocati del Biscione mettono in discussione la sentenza di Mesiano in tutti i suoi contenuti, anticipando in buona parte i contenuti di quello che sarà il processo d’appello: ricordando, ad esempio, che la sentenza a favore della Fininvest del 1991 (quella scritta dal giudice Metta, poi condannato per corruzione insieme a Cesare Previti) non mise affatto fine alla «guerra di Segrate», e che poco dopo Berlusconi e De Benedetti raggiunsero l’accordo che lasciava al primo i libri e le riviste, al secondo Repubblica, l’Espresso e i giornali locali. Ma il professor Vaccarella e gli altri legali del Cavaliere si battono soprattutto contro l’obbligo immediato di pagamento disposto da Mesiano. È vero che nei processi civili questa è la norma.
Ma il «caso Mondadori», dicono, è reso atipico dalla strabiliante altezza della posta in gioco. Per pagare oggi 750 milioni a De Benedetti, la Fininvest dovrebbe vendere una parte dei suoi asset, rinunciare a progetti di sviluppo, a investimenti, insomma subirebbe dei danni che - se la sentenza d’appello dovesse annullare quella di primo grado - non potrebbero essere riparati. E in tal caso, dicono, non ci sarebbe alcuna certezza neanche sulla concreta possibilità di recuperare i 750 milioni versati a De Benedetti, visto che il sistema bancario - verso cui la Cir è esposta per cifre rilevanti - potrebbe appropriarsi della somma.
Ma la Cir ha fretta. Già il 22 ottobre aveva fatto partire un «atto di precetto» contro Fininvest per chiedere il pagamento immediato, e solo una decisione del presidente della Corte d’appello Giacomo Deodato, che ha fermato le bocce in attesa dell’udienza di martedì, ha impedito all’Ingegnere di pignorare i beni di Fininvest.
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