Se invece di prendere alla Camera laria del secchione, Paolino De Castro irrompesse nellemiciclo ballando un tango, con giravolte, colpi di tacchi, suoni di nacchere e triplice olè, sarebbe come natura lo vuole. Il ministro dellAgricoltura ha infatti un sembiante ispanico, non raro nei pugliesi. Lo aveva anche il conterraneo Rodolfo Valentino cui, con qualche forzatura, il ministro si ispira.
Paolino sembra anche lui uscito da un cartellone degli anni Venti. I capelli pettinati allindietro sono, con lausilio di una giusta dose di brillantina, lisci come ebano piallato. Quando poi arrivano al collo, si sollevano in una graziosa onda allinsù conferendo al profilo un fine tocco da torero. La parte restante del ministro è allaltezza delle premesse. Indossa abiti scuri da ballerino di Madera e ha scarpe lucidissime con bagliori. Infine, il suo figurino si mantiene assai bene, tenuto conto che ha 49 anni. Nel complesso, unottima carta da spendere nei simposi internazionali per esaltare limmagine delle produzioni e della dieta mediterranee.
È stata una piacevole sorpresa ritrovarlo così trasformato dopo sette anni. La prima volta che ricoprì la carica di ministro dellAgricoltura, tra il 1998 e il 2000, Paolino aveva un aspetto più campestre. Portava quelle fastidiose barbette messe in auge da Mickey Rourke nel boccaccesco «Nove settimane e mezzo». Semibarbe che di sera potevano anche contribuire a ravvivare leros, ma di giorno conferiscono unaria da pastore barbagino che, nel caso di De Castro, diminuivano lampiezza del suo mandato il quale oltre a greggi e allevamenti comprendeva coltivazione, pesca, macchinari agricoli, ecc.
Oggi di quella barba non cè traccia. Col viso glabro che ne accentua il garbo, il ministro si è insediato con piglio nel suo incarico bis. In pochi mesi, da tecnico qual è, ha preso due importanti provvedimenti che ne fanno la gloria delluniversità di Bologna dove insegna a Veterinaria. Il primo è il «condono» degli arretrati che le aziende agricole devono allInps. Grazie allintervento di Paolino i bucolici evasori potranno estinguere il loro debito pagando dal 22 al 29 per cento del dovuto. Poiché lUnione aveva tassativamente escluso condoni, considerato vizio deteriore del governo Berlusconi, De Castro ha smentito che il suo decreto rientri nella categoria. Infatti, ha spiegato, si tratta di un concordato fatto con alcune banche che hanno acquistato i crediti dellInps e che si accontentano, bontà loro, di incassare solo una larva della somma originaria. Va dato atto al ministro del capolavoro che agevola le aziende e non incrina i saldi principi cui si ispira il governo Prodi.
Il grosso del vantaggio è andato allagricoltura del Mezzogiorno dove si annida il massimo dellevasione. Più favorita tra tutte le Regioni risulta poi essere la Puglia dove il ministro è nato e dove ha la tenuta di famiglia condotta dal fratello maggiore, Fabrizio. A questo punto, penserete che abbia agito pro domo sua come un Berlusconi qualunque. Non ci siamo. È vero che Paolino ha i natali tra Brindisi e Lecce, ma da qualche parte doveva pur nascere. Daltronde, non è affatto detto che lazienda De Castro sia anchessa invischiata nella faccenda dei debiti contributivi. Qualunque illazione è dunque precipitosa, non provata, malevola. In una parola, fuori luogo.
Il secondo provvedimento è ancora migliore del primo. Dopo 14 anni, il ministro ha posto termine al commissariamento dei 73 consorzi agrari sparsi nella Penisola. Tutti sono stati trasformati in cooperative. Uneccellente idea che però, inevitabilmente, va ad arricchire quelluniverso cooperativistico caro allUnione, sia nella versione coop rosse ds che coop bianche cattoliche. Anche stavolta però non è il caso di malignare. Ciascun governo ha le proprie predilezioni. La Cdl era per limpresa privata, lUlivo è per le coop. Dunque, dopo i medicinali da banco e le pompe di benzina conferite da Piergigi Bersani, il falansterio delle coop si arricchisce con De Castro degli ottomila dipendenti dei consorzi e dei tre miliardi di fatturato dei medesimi, diventando il Creso del centrosinistra.
Il decreto del ministro ha avuto il plauso di molti. In primis di Paolo Bruni, presidente della Confcooperative. E chi è Paolo Bruni? È uno dei consiglieri di Nomisma, la holding daffari, studi e consulenze del premier Romano Prodi, di cui Paolino è da lustri magna pars e che ha presieduto dal 2001 al 2004. E qui, purtroppo, profilandosi lombra del conflitto di interesse, bisogna soffermarsi. Entrato in Nomisma negli anni '80, Paolino ebbe lincarico di rafforzarne il settore agricolo. Fece un eccellente lavoro. Portò come cliente lUnilever che poi acquistò la Bertolli appena Prodi, presidente dellIri, vendette la Sme, il gigante alimentare pubblico. Agganciò tra i clienti anche Monsanto, multinazionale degli Ogm e bestia nera dei Verdi. Ma mostrò il massimo di abilità in unora drammatica di Nomisma. Fu allepoca di Gorbaciov, quando la holding si era installata a Mosca per svolgere corsi di formazione per aspiranti manager post comunisti. Lezioni che, sembra, si tenessero in una palazzina sullArbat. Liniziativa si rivelò però oltremodo dispendiosa e le banche che sostenevano Nomisma, prima tra tutte la Bnl guidata da Nerio Nesi, tirarono i cordoni della borsa. La sede moscovita fu chiusa in fretta e la holding cercò nuovi lidi. Innanzitutto, però, bisognava sostituire le banche fuggiasche con altri finanziatori. E qui si vide la nobilitate di Paolino. In un batter docchio, entrarono nel capitale sociale i giganti dellimprenditoria agricola: Parmalat, Cremonini, Cirio, Rovagnati, Zonin, Auricchio, Granarolo, Rana, ecc., tuttora azionisti di Nomisma con leccezione di Parmalat, uscita dalla compagine dopo il crac.
Dunque, tornando a De Castro ministro dellAgricoltura, cè da chiedersi se lincarico non cozzi col ruolo di Paolino nella holding prodiana infarcita di carni, conserve, vini e mortadelle. Tanto più che pezzi di Nomisma sono approdati anche al ministero. Un nome per tutti: Riccardo Deserti, ex amministratore delegato della predetta e ora capo della Segreteria tecnica del ministro e consigliere dellIsa, lIstituto agroalimentare del ministero. Lasciamo che a rispondere siano i puristi e noi, intanto, approfondiamo la conoscenza decastresca.
Paolino vide la luce a San Pietro Vernotico da cospicua famiglia terriera. Passò linfanzia da padroncino tra i braccianti acquisendo quellaria altera che gli ha procurato il nomignolo di «barone». Diciottenne prese la decisione della vita trasferendosi a Bologna. Si iscrisse ad Agraria, si laureò con lode, conobbe Prodi, entrò nelle sue grazie. Da allora, i due convivono anche se De Castro continua a dare del lei al Professore. A Bologna, abitano attaccati e guardano entrambi su Piazzetta di Santo Stefano. Solo per sposarsi il barone fece di testa sua. Impalmò una fanciulla pugliese, in base alladagio georgico «moglie e buoi», e ne ha avuto due figli.
Dopo la laurea e uno stage negli States, Paolino vinse la cattedra a Sassari. Il soggiorno sardo, vissuto come un esilio, fu fulmineo. In breve era di nuovo a Bologna, professore di Economia Agraria. Essendo un tipo sveglio, Prodi lo cooptò in Nomisma col compito di stare in campana e cogliere al volo le occasioni. Come abbiamo visto, lo ha fatto da dio. Quando Romano divenne premier nel '96, entrò nel suo staff di Palazzo Chigi, lievemente deluso di non essere diventato ministro. Ma ne sentì il profumo quando Prodi lo inviò a dare una mano allallora titolare dellAgricoltura, Michele Pinto, un elegante avvocato che non capiva un piffero della materia. Pare che il premier lo abbia spedito dicendo: «Punti Pinto che non vale punto».
Fu Max DAlema, che defenestrò Prodi nel '98, a dare a Paolino la poltrona ministeriale in entrambi i suoi governi. Tra i due cè il feeling della comune pugliesità, nel senso che Max è tradizionalmente eletto a Gallipoli, e dellidentica passione per la vela daltura. Ricambiando la grazia, Paolino prese provvedimenti straordinari per loccupazione agricola nel collegio di Max, aumentandone popolarità e voti. Sostituito da Pecoraro Scanio nel 2000, il barone si piazzò a Bruxelles tra i collaboratori di Prodi diventato presidente Ue. Dopo sei mesi, fu rispedito a Bologna alla guida di Nomisma.
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