De Mita, fine corsa dopo 45 anni

Con l’Udc in Campania fallisce l’ultimo sogno dell’uomo di Nusco: ottiene il 6,8% ma stavolta non conquista il Senato

De Mita, fine corsa dopo 45 anni

da Roma

«Se non con voi, starò contro di voi!». Le ultime parole famose, di un paio di mesi fa, non gli hanno portato fortuna. Ciriaco De Mita è out. Fuori dal Parlamento dopo 45 anni trascorsi quasi ininterrottamente. E giusto a 20 anni dal giorno (era, guarda te il caso, il 13 aprile del 1988) in cui divenne il politico numero uno d’Italia, riuscendo a sommare l’incarico di presidente del Consiglio a quello di segretario a Dc, il partito di maggioranza relativa che dal ’48 dominava la scena.
Niente da fare per l’uomo di Avellino che, cacciato dalla porta da Veltroni ed i suoi in ragione di un “rinnovamento” generazionale, ha tentato di rientrare dalla finestra dell’Udc, candidandosi nella sua Campania. Il partito di Casini e Tabacci ci credeva. Ben note le simpatie su cui l’ottantenne di Nusco poteva contare dall’Irpinia fino a Napoli. E invece, niente da fare: ha fatto toccare all’Udc un buon 6,8% nel voto per il Senato, ma non sufficiente a varcare l’asticella dell’8% per l’ingresso a palazzo Madama. Stop dopo 11 legislature.
L’uomo di Nusco aveva fatto il suo ingresso a Montecitorio nel lontano 1963: si era ancora in pieno boom, al Quirinale c’era Segni, padre del Mariotto referendario che negli anni ’90 col suo referendum sui voti di preferenza mandò in crisi la prima repubblica, a palazzo Chigi sedeva Giovanni Leone che avrebbe più tardi preso la via del Colle e il centro-sinistra che avrebbe contrassegnato un trentennio di vita italiana, era ancora lontano dal concretizzarsi. Proprio De Mita ne fu uno degli aruspici: piazzatosi nella corrente detta di “base” che faceva capo a Giovanni Marcora chiedeva a gran voce l’apertura al Psi di cui più tardi divenne il più fiero avversario, duellando a lungo e a tratti con cattiveria con Craxi.
Ne ha viste di cose «l’intellettuale della Magna Grecia», come lo ribattezzò con un pizzico di perfidia Gianni Agnelli. Della prima repubblica, e in parte anche della seconda, è stato uno dei personaggi di riferimento principali. Da poco aveva compiuto gli 80 anni (era nato a Nusco il 2 febbraio del 1928 nella modesta famiglia di un sarto) e aveva ricevuto a casa sua per l’occasione il solito Gotha del centro-sinistra chiamato dai figli per i tradizionali auguri che si sentì dire che la sua carriera politica era giunta al capolinea. Proprio Veltroni, assente per l’occasione mondana, pare gli avesse mandato un biglietto e De Mita fece sapere, asprigno, in replica: «Mi ha mandato un biglietto dicendo che i miei 80 anni sono 80 anni di democrazia. Ma io mi ribello a chi vuol far prevalere l’età rispetto all’intelligenza!».
Lui, di cervello, ha ritenuto sempre di averne ben oltre la media e non l’ha nascosto mai a nessuno trascinando sottobraccio, uno ad uno, parlamentari e giornalisti che pullulavano nel Transatlantico prima che prendesse piede l’assenteismo a Montecitorio tranne che nei giorni delle grandi occasioni. Cercava di convincere tutti della bontà delle sue tesi. Un Berlusconi antemarcia che però col Cavaliere ha sempre avuto un pessimo rapporto (ammorbiditosi poi col passar del tempo) per via delle sue reti Fininvest che a suo dire non solo danneggiavano l’amicone del cuore Biagio Agnes (con cui invece ha rotto), ma soprattutto perché a suo modo di vedere davano una mano a Bettino Craxi, divenuto il suo antagonista principale e a cui dovette cedere a lungo palazzo Chigi per mantenere l’alleanza col Psi.
Il 13 aprile del 1988 ottenne la sua rivincita entrando a palazzo Chigi. Ci potè però rimanere solo un anno. Le solite congiure dc lo fecero fuori senza complimenti dopo che si era dimesso da segretario del partito per le crescenti proteste interne al “doppio incarico” di cui a piazza del Gesù - sede del partito - nessuno ma proprio nessuno prima di lui aveva potuto usufruire. Sembrava nell’angolo, ma grazie ai voti irpini resistette e passò oltre entrando nella seconda repubblica e condizionando a lungo i giochi campani del centro-sinistra.

Dopo una lunga e reciproca diffidenza riuscì ad instaurare un buon rapporto anche con Bassolino. Veltroni lo ha espulso dal Piddì senza troppi rimorsi. Anche se forse ieri quel suo 6,8 in Campania l’avrà rimpianto, e non poco.

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