Milano - Ci sono voluti quattro anni, due tribunali, un paio di leggi varate dal Parlamento e abrogate dalla Corte Costituzionale, ricusazioni, polemiche e un sacco di soldi: ma il processo a Silvio Berlusconi per l’affare Mills è arrivato alla sua conclusione. Ieri il pubblico ministero Fabio De Pasquale ha terminato la sua requisitoria contro l’ex capo del governo. Conclusione ovvia: Berlusconi è colpevole. Richiesta di pena: cinque anni di carcere per corruzione in atti giudiziari. Richiesta severa ma meno del previsto. De Pasquale si attesta nella fascia bassa della «forbice» indicata dal codice, e chiede per Berlusconi solo una manciata di mesi in più della pena che a suo tempo aveva chiesto per il suo coimputato David Mills, l’avvocato inglese che dal Cavaliere avrebbe ricevuto 600mila dollari come ringraziamento della sua reticenza davanti alla Procura di Milano, quando negli anni Novanta venne interrogato sui conti segreti della Fininvest.
Requisitoria di De Pasquale singolarmente stringata, soprattutto a fronte della estenuante lunghezza del processo. De Pasquale se la cava in un’ora e mezza. Non spiega neppure come sia arrivato a calcolare la pena di cinque anni, quale computo abbia fatto delle attenuanti e delle aggravanti. E il pm evita o forse dimentica di affrontare anche il tema delle pene accessorie, in particolare l’interdizione perpetua dai pubblici uffici che spesso accompagna le accuse di corruzione: e che Ilda Boccassini, per esempio, aveva invocato quando nel 2004 aveva chiesto (senza riuscirci) la condanna di Berlusconi nell’affare Sme.
Silvio Berlusconi non è in aula ad ascoltare De Pasquale che lo candida a cinque anni di carcere. All’inizio dell’udienza si era sparsa la voce che il Cavaliere si sarebbe presentato, e che avrebbe preso la parola per quelle dichiarazioni spontanee più volte annunciate dai suoi difensori. In effetti Berlusconi era pronto a venire in tribunale, e aveva anche preparato una traccia di intervento. Si trattava di una rivendicazione di innocenza lunga e veemente, con alcuni riferimenti a temi difensivi già noti ma anche con elementi nuovi. Berlusconi - come poi hanno fatto i suoi difensori - intendeva sostenere che la presunta corruzione dell’avvocato Mills era semplicemente priva di movente, visto che dalle deposizioni dell’avvocato inglese gli erano venuti solo guai e condanne. Inoltre Berlusconi intendeva accusare Mills di avere mentito - attribuendogli falsamente la paternità dei 600mila dollari al centro dell’inchiesta - non per paura del fisco inglese, ma per scansare il rischio ben più pesante di venire arrestato per riciclaggio dalla Procura di Salerno. E voleva anche spiegare che per un breve periodo era nata effettivamente l’esigenza di creare dei fondi esteri intestati ai suoi primi figli, Piersilvio e Marina, per evitare che restassero penalizzati nell’asse ereditario, ma voleva anche spiegare che l’idea di creare quei fondi (che costituiscono uno degli elementi dell’accusa) era stata bocciata da lui stesso, tanto che rimasero inattivi e vennero chiusi.
Ma alla fine Berlusconi ci ripensa, non si presenta in aula e lascia ai suoi difensori il compito di ascoltare la requisitoria di De Pasquale. Requisitoria singolarmente sbrigativa. Forse, nella rapidità con cui il pubblico ministero tira le fila di un processo che pure ha assorbito molti anni della sua vita, c’è anche un po’ di rassegnazione all’esito. Ieri De Pasquale è tornato a sostenere che il reato contestato al Cavaliere non è ancora prescritto, e che non lo sarà fino a maggio o addirittura fino a luglio. Ma il pm in cuor suo sa bene che le speranze di convincere il tribunale sono esili. I calcoli neutrali dicono che il reato, commesso secondo la Cassazione nel novembre 1999, si è prescritto l’altro ieri, o che al più tardi lo sarà sabato prossimo. In ogni caso, quando il 25 febbraio - dopo la conclusione delle arringhe difensive - il tribunale presieduto da Francesca Vitale si ritirerà in camera di consiglio per decidere, difficilmente potrà evitare di prendere atto che il tempo a disposizione è scaduto, e che il reato è estinto.
Così De Pasquale evita di perdersi in dettagli, e punta dritto al risultato che gli sta a cuore, e che - prescrizione o non prescrizione - vuole che i giudici scrivano nella sentenza: che quei seicentomila dollari piovuti sui conti di Mills venivano davvero da Berlusconi, ed erano il prezzo dello spergiuro. Arrivati a questo punto, al pm probabilmente basterebbe che i giudici dessero questo per accertato, attestando la validità del suo lavoro, anche se dovessero prosciogliere l’imputato per prescrizione.
La prescrizione, in realtà, secondo i legali del premier è già scattata: ma prima di rifugiarsi sotto questo ombrello, Ghedini e Longo cercheranno di convincere i giudici che Berlusconi con quei seicentomila dollari non c’entra niente. Prossima udienza, e probabilmente sentenza, il 25 febbraio.
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