De Rossi bravo ragazzaccio, anche Ostia lo scarica

Jacopo Granzotto

Una gomitata in mondovisione può mandarti all’inferno. Per Daniele De Rossi, talento fregato dal carattere, son tornati i tempi cupi, ora che persino la sua Ostia lo scarica. E pensare che quel 4 sulle spalle pesava come un macigno. Questione di scaramanzia, e lo aveva detto, prima di salire sull’aereo per la Germania agli amici. Poi è arrivata la gomitata, la faccia sanguinolenta di McBride e il rischio di finire anzitempo il mondiale delle grandi speranze.
Daniele De Rossi è nato e cresciuto sul litorale romano, solo da un anno, da quando si è sposato e ha avuto la piccola Gaia, si è trasferito nella capitale, a Monteverde. E ieri a Ostia, con la spiaggia affollata, sembrava impossibile parlare d’altro. «Stavamo discutendo proprio di questo- dice un ragazzo-. Sono romanista ma quando i giocatori fanno cose del genere non li sopporto, come mi ha dato fastidio Totti per l’episodio dello sputo». Marcello è il gestore di un chiosco sul lungomare. Stavamo discutendo proprio della partita dell’Italia e sono tutti d’accordo: «Certe cose non si fanno, ci arrabbiamo quando noi romani facciamo queste figure».
Il chiosco di Marcello è di fronte allo stabilimento dove De Rossi è cresciuto, lo «Sporting Beach». Davanti al cancello c’è Alessandro, il parcheggiatore. Subito avverte: «Qui dentro nessuno vi dirà niente, non parlano». Lui invece lo fa ed è una voce in difesa del giocatore. «Ho visto la partita, ho visto anche cosa ha fatto. Ma Certe cose possono succedere nella concitazione della gara. Lui è solo saltato con le braccia alte, è stato un incidente». Alessandro è lì da 11 anni, Daniele lo ha visto praticamente crescere. Adesso che è sposato è ha una bambina si vede meno, quasi mai. Chi continua a frequentare lo stabilimento è papà Alberto e tutta la famiglia: «Oggi non ci sono, sono 2 giorni che non si vede nessuno». Tra lettini e ombrelloni nessuno sembra interessato ai mondiali, anche perché sono i primi a non essere trasmessi integralmente dalla tv di Stato. All’entrata, come al bar, dipendenti e clienti rispondono tutti la stessa cosa: «La partita? No, io guardi non seguo il calcio...». Poca voglia di parlare e forse molta di difenderlo, evitano così di criticarlo. Il bar che frequentava prima di trasferirsi a Monteverde, ma dove va ancora quando passa a salutare i genitori, è chiuso. C’è qualcuno che passeggia, Luca rivela il retroscena legato alla cabala dei numeri sulle maglie azzurre: «Vengo spesso a questo bar, conosco i proprietari e prima Daniele lo incontravo spesso. Prima di partire è passato a salutare e ha raccontato che i giocatori azzurri hanno deciso con uno scambio di messaggi i numeri di maglia, ma a lui non è arrivato niente e quindi non sapeva nulla. Così Lippi gli ha dato il 4, ma De Rossi non lo voleva. Dice che gli porta male». Lo aveva nella Roma che l’anno scorso ha rischiato di andare in B».
Gianluca invece non ha trovato il biglietto e si è dovuto accontentare di vedere il match su un maxischermo tedesco: per lui quella del 4 non è scusa da accampare: «De Rossi? È fuori di testa.

Eravamo circondati da tifosi anche non italiani che gli hanno dato dell’anti sportivo e violento. Gli altri ci guardavano e sembravano dire: “siete sempre i soliti”». Pregiudizi meritati finché in Italia si continuerà a dare aggettivi come «tattico» all’anticalcio per antonomasia: il fallo.

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