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Una De Sio cattivissima stronca i sogni dei giovani talenti

Il destino d’essere cattiva. O di sembrarlo soltanto? Se si fa notare a Giuliana De Sio che il suo mostrarsi (scenicamente) al peggio di sè sembra ormai una costante, lei reagisce duramente. Proprio come farebbe una delle sue malvage. «Questa storia della cattiva mi sta stancando - sbuffa l’attrice (non a caso eccellente interprete della Cattiva di Lizzani)-, di solito la sottolinea chi ignora i 33 anni della mia carriera; perchè è solo ultimamente, e solo per Mediaset, che ho interpretato figure negative. Ma sempre in ruoli ricchi di altre sfumature». Un po’ come dovrebbe accadere anche per Miranda: potente, cinica (e cattivissima) dirigente di un’emittente televisiva, che in Non smettere di sognare - la serie diretta da Roberto Burchielli sui sogni di giovani aspiranti ballerini, ispirata al cinematografico Saranno famosi e al televisivo Amici, in onda da mercoledì su Canale 5 - si rivela gelida.
Ma si scoprirà, invece, fragile. «Miranda ha il compito di montare le facili illusioni dei giovani; di scoraggiare le loro ambizioni immotivate. Per metterli crudamente alla prova. E dimostrare, anche con metodi duri, se meritano davvero il successo». Ispirata (si vocifera) ad un’autentica donna di potere Mediaset, e costruita un po’ come l’omonima protagonista de Il diavolo veste Prada (anche lei ha una segretaria privata che vittimizza) la terribile Miranda è «una spece di avvocato del diavolo. Esigente, perfezionista, inflessibile. Vive, unica donna, in un mondo di uomini. Lotta per mantenere il potere raggiunto. Ha successo in tutto quello che fa e detesta le belle ragazze che, prive di talento, si affermano solo grazie a certe scorciatoie. Così tutti la temono e, al tempo stesso, l’adorano. Nella banalizzazione dei ruoli cui la De Sio sembra ormai confinata, un po’ di colpa dovrebbe averla proprio la fiction. «Cominciai col Bello delle donne: quella cattiva lì ebbe successo e, da allora, mi si è appiccicata addosso. Perchè la fiction, bisogna dirlo chiaro e tondo, oggi è un genere che banalizza per sua natura. E troppo spesso rinuncia a volare alto. Si dice: ma il pubblico ha bisogno di storie semplici, di sentimenti elementari. Io stimo troppo il pubblico, e ho troppe prove del contrario (quante fiction d'alto livello, e di successo, ho girato io stessa, quando ancora non si chiamano fiction?) per crederci davvero».

E poi c’è la varietà dei ruoli, che ormai solo cinema e teatro sembrano consentirle: nel film dell’esordiente Antonio Falduto, Il console italiano, sarà una diplomatica energica e positiva, che per aiutare un giovane di colore contribuirà a lanciare un ponte fra due mondi e due culture diverse. Mentre nella commedia di Woody Allen La lampadina gallegiante, apparirà addirittura dimessa, incerta e complessata. «Perchè io sono un’attrice. Non una ripetitrice di ruoli».

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