da Roma
«No, non posso più invocare le istituzioni. Non fanno il loro compito. Non mi resta che appellarmi alla Madonna della Monnezza o al Padreterno del Vomero. Quando l'uomo fallisce, ci rivolgiamo agli dei». Teresa De Sio ha lo sguardo fiero di chi, da napoletana, si sente assediata dalle attenzioni del mondo: la sua città, che per anni ha cantato, è piegata dalle difficoltà. «Più che dalle difficoltà, Napoli è sommersa dalla monnezza».
Teresa è in sala prove con i suoi musicisti (domani riceverà a Varazze il premio Mandolino d'oro), hanno appena sfornato un nuovo cd, Sacco e fuoco. Il singolo, Non tengo paura, è la lettera di una figlia che vuole trovare la propria indipendenza. Altra chicca è la cover del 1956 di Domenico Modugno, Tambureddu. Il brano che dà il titolo all'album è invece ispirato a due briganti «che hanno scelto la strada delle montagne e hanno creduto in Garibaldi. Che però, dopo aver liberato Napoli, se n'è andato lasciando la città ai piemontesi».
La canzone destinata a far discutere è Amèn, ritratto spietato di Napoli. «Se si ammassassero tutti i rifiuti importati dalla malavita dal Nord al Sud si formerebbe una montagna alta 14mila metri, un perimetro di 3 ettari, la più alta del mondo spiega Teresa -. Sarebbe bello che la Madonna della monnezza allungasse il suo piedino celeste e la toccasse». Di chi è la colpa, Bassolino, Jervolino? «Non mi occupo di politica. Gente che prende stipendi altissimi se ne deve occupare. Il problema è che non desideriamo più la bellezza: i fuochi della spazzatura di Napoli sono il termine ultimo di un ciclo imposto dalla società dei consumi. Più consumiamo, più finiamo sommersi». Un ritratto pessimista? «No. Napoli è forte, e ha sempre la capacità di anticipare gli eventi. Le altre città del mondo farebbero bene a guardare cosa accade lì per imparare».
Sulla copertina del disco la De Sio è una regina senza corona.
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