Debiti: Grande guerra senza pace

I tedeschi si impegnarono a ripagare tutti i danni quantificati dopo l’armistizio. Novant’anni non sono bastati, ora annunciano: "Entro ottobre 2010 verseremo gli ultimi 56 milioni di euro"

Debiti: Grande guerra senza pace

I tedeschi sono sempre tedeschi, nei pregi e nei difetti. Non è un luogo comune, perché i popoli - come gli individui - hanno il loro carattere, le loro abitudini, le loro tradizioni. A quale altro popolo, se non ai giapponesi, sarebbe venuto in mente di saldare, oggi, i debiti di guerra della prima guerra mondiale? Dico, la prima guerra mondiale, della quale «festeggeremo» tra poco il centenario.

Nei trattati di Versailles i vincitori stabilirono la cifra da rimborsare in 132 miliardi di marchi, ma nel 1952 la Germania ne aveva versati appena uno e mezzo: per la crisi del dopoguerra prima, per l’avvento di Hitler al potere dopo, e infine per la seconda guerra mondiale. I tedeschi, fieri e ostinati anche come debitori, proprio nel 1952 si impegnarono a saldare tutto dopo l’unificazione delle due Germanie. E non era una trovata furba, con il retropensiero che l’unificazione non sarebbe mai avvenuta. È avvenuta, infatti, nell’ottobre del 1990, e i tedeschi annunciarono che avrebbero chiuso il debito entro vent’anni. Zitti zitti, l’hanno fatto, anno dopo anno, e ieri ecco l’annuncio ufficiale: entro il 3 ottobre 2010 verseranno gli ultimi 56 milioni di euro residui, in parte anche all’Italia. Commossi, ringraziamo e rendiamo omaggio al rigore a uno Stato così scrupoloso.

Viene in mente, però, anche un’altra considerazione: che la Grande guerra sembra non finire mai; ovvero che non trova definitivamente pace nei conti con la storia, ancora più gravosi e prolungati nel tempo di quelli economici. Si cominciò subito, nel 1919, con il mito della «vittoria mutilata» lanciato da Gabriele d’Annunzio e culminato nell’occupazione di Fiume. Si proseguì negli Anni venti con una polemica, tutta italiana, sulla «riparazione dei danni di guerra» tedeschi, appunto: ci fu chi accusò Costanzo Ciano, eroe e ministro delle Comunicazioni, di lucrare - attraverso la società di un suo fratello - sui vagoni di carbone che arrivavano dalla Germania proprio come rimborso.

La conseguenza principale della prima guerra mondiale, però, fu ben altra: la seconda guerra mondiale. Tanto che alcuni storici hanno cominciato a comprenderle entrambe sotto il nome comune di nuova Guerra dei Trent’anni. Certo è che lo sfacelo dell’Impero austro-ungarico fu tale da provocare la sua suddivisione in una miriade di Stati, spesso male assemblati, per etnie e confini, con tutte le conseguenze immaginabili e possibili. La stessa ascesa al potere di Hitler fu favorita dalla durezza delle condizioni di pace imposte alla Germania e che originarono le rivendicazioni tedesche: quelle che avrebbero condotto al nuovo, e più grave, conflitto mondiale. I popoli sconfitti, insomma, oltre a perdere la guerra, persero anche la pace. Ma forse è più giusto dire che furono i vincitori, volendo stravincere e annichilire gli sconfitti, a perdere la pace. Persino i trattati successivi alla seconda guerra mondiale subirono l’influenza dei primi, spesso moltiplicandone gli effetti nefasti.

Se si vogliono esempi recenti e casalinghi degli effetti, duraturi, di quel conflitto e di Versailles, basti pensare che - fino a pochi decenni fa - abbiamo avuto le bombe in Alto Adige: al quale paghiamo ancora il prezzo di uno statuto speciale, come se il 1918 fosse appena trascorso.

E dire che proprio a me è toccato, su questo giornale, salutare gli ultimi «ragazzi del ’99», appena scomparsi.

Si credeva che con loro sarebbero finiti anche la guerra, il suo ricordo vivente, le sue conseguenze. La generosa pignoleria tedesca, invece, ci ha rammentato che la Grande guerra aleggia ancora sulle nostre teste, e non solo sotto forma di assegni.

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