La proposta di Giuliano Amato, per la soluzione del problema del debito pubblico italiano, consistente in un prelievo addizionale straordinario di 30mila euro per ogni cittadino membro di un terzo delle famiglie a reddito medio e alto, da versare in due rate di 15mila euro annui pro capite, mi ha provocato stupore. Non per il calcolo, che non fa una piega. Gli italiani sono circa 60 milioni (però con 5 di immigrati), un terzo sono 20 milioni. Se ciascuno di essi dà 30 euro, si tratta di 600 milioni. Se gli euro sono 30mila, questa cifra va moltiplicata per mille e quindi si tratta di 600 miliardi. Sul nostro Pil, che è un po’ più di 1.600, si tratta del 37%. E in effetti, muovendo da un rapporto debito/Pil del 117%, la sottrazione del 37% in un biennio provoca una diminuzione di questo rapporto all’80%, che è la percentuale di debito pubblico sul prodotto nazionale che Amato dice di volere raggiungere con la sua proposta.
Il calcolo funziona, ma la cura da cavallo che Amato suggerisce è talmente gravosa da uccidere il cavallo. Togliere a un’economia in due rate annue il 38% del Pil, in aggiunta alla pressione fiscale del 43%, implica di portarla al 57%, nel primo anno e poi pretendere di ricavare ancora un 54%, l’anno dopo, da un’economia che ha subìto questo salasso. Guardando le cose da un altro punto di vista, nel 2011 anziché un disavanzo del 4%, avremmo un avanzo di bilancio del 13% e nel 2012, ammesso e non concesso, che il cavallo contribuente italiano, dopo questa donazione di sangue, sia ancora capace di respirare, anziché un deficit del 2,7% come previsto, ci sarebbe un altro avanzo di bilancio del 143%.
Non riconosco più il Dottor Sottile, come lui era denominato, non solo per la finezza dei suoi ragionamenti, ma anche per la capacità di affrontare le questioni difficili con senso della misura, maneggiandole con cura, come si fa con la merce fragile, anziché con la pesantezza dell’elefante in una cristalleria. Mi ricordo come egli prima ministro del Tesoro e poi presidente del Consiglio, con pazienza riuscì a limare le varie spese pubbliche e a ridurre le evasioni tributarie nei difficili primi anni ’90, del secolo passato, preparando sostanzialmente un bilancio che aveva un deficit di poco superiore al 3% del Pil e, quindi, era prossimo ai parametri di Maastricht.
E ricordo anche un Amato, sottosegretario alla presidenza del Consiglio di Bettino Craxi, che lo affiancava nei momenti difficili, come quelli del colpo d’ala del taglio della scala mobile e la sfida del referendum contrario: due grandi battaglie vinte. Tralascio l’effetto macro economico assurdo di questa proposta di imposta patrimoniale straordinaria, che contrasta con le più dure proposte europee di riduzione del nostro rapporto debito pubblico/Pil. E tralascio anche il messaggio che essa dà, ossia che i deficit si curano aumentando le imposte, non riducendo le spese o lavorando con maggiore efficienza. Mi soffermo, invece, sull’idea che il 30% degli italiani potrebbe sborsare dal suo patrimonio 30mila euro in due rate senza problemi. Intanto, una famiglia di 3 persone dovrebbe dare 90mila euro in due anni. È in grado di farlo un terzo delle nostre famiglie? E come si fa a stabilire qual è questo terzo più abbiente? Chi abita in un grande immobile ereditato che vale ufficialmente un milione di euro e magari ha una seconda casa, che ha comprato quando erano accessibili e che ora, sulla carta, forse vale altrettanto, è ricco? Dove troverebbe i soldi per i 90mila euro? Come si valutano i patrimoni, con i mercati che fluttuano? E quando ci fosse l’annuncio di questo tributo, siamo certi che non ci sarebbe una fuga di capitali? Inoltre, come si stabilisce qual è il 33% più abbiente: solo in base al patrimonio o anche al reddito? Ebbene, 30mila euro per chi ne guadagna 300mila netti di imposte non sono un salasso enorme in un biennio, ma lo sono per chi ha una proprietà immobiliare che dà un reddito modesto.
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