"Debutto da regista grazie all’amore"

L’attrice ha presentato a Cannes il suo "Cendres et sang": "Delle mie passioni non parlo, ma mi servono per dare il meglio nel lavoro. E ho un altro segreto: parlo con Truffaut"

"Debutto da regista grazie all’amore"

«Sono una donna inguaribilmente ottimista», proclama con un sorriso Fanny Ardant mentre, con una punta di civetteria, gioca a citare... Fanny, il personaggio che porta il suo nome al centro dell’attenzione di due uomini due in Music-Hall, la novità assoluta di Jean Luc Lagarce che da qualche mese fa il tutto esaurito alle Bouffes du Nord, il mitico teatro di Peter Brook. Ma davvero?, chiedo incuriosito alla più briosa e spumeggiante delle dive d’Oltralpe, protagonista a Cannes ieri con la sua prima prova da regista, Cendres et sang, e oggi con Visage, il film del taiwanese Tsai Ming Liang nel quale ha accanto Laetitia Casta. «Perché, non crede che io colga il lato positivo delle cose?», mormora lei con finto disappunto.

Le credo, le credo, ma vuole fornirmene la ragione?

«Solo pochi mesi fa, durante le riprese di Cendres et sang volevo piantare tutto. E urlavo “meglio finire in convento che stare in una baraonda simile”».

Perché? Cos’era successo?
«Mi ero innamorata di Eschilo il gran perdente, un curioso romanzo di Ismail Kadaré, il grande scrittore albanese candidato al Nobel e, dopo mesi di anticamere e rifiuti, avevo finalmente ottenuto il budget per iniziare il film quando... ».

Quando...

«Mi resi conto di vedere la story, la sceneggiatura e persino la protagonista coi miei occhi d’interprete e non con lo sguardo ironico e distaccato del regista».

Era poi tanto grave?
«Grave no, imperdonabile sì. Per fortuna mi venne in mente Truffaut, l’uomo cui devo tutto».

E allora?
«Come per magia, tutto si sbloccò. François, che mi ha creato come interprete, mi ripeteva “è inutile concentrarsi sull’inquadratura, Fanny. Davanti o dietro la macchina da presa, ciò che conta è ritrovare in noi la stessa emozione ingenua e contagiosa che prova un bambino quando di fronte a un albero scorge d’improvviso una nuvola. Non pensare all’albero, cioè alle battute, al partner o alla trama; insegui la tua nuvola. Solo così tutto andrà per il meglio”. E aveva ragione».

Bastò questo a farle ritrovare la fiducia?

«Sì, perché con Truffaut io parlo di continuo. Come se morte e vita, nel nostro caso, non contassero. Da lui ho avuto una figlia, Joséphine, il dono più preziosoche poteva offrirmi. E il ricordo del suo contagioso entusiasmo per ogni minimo avvenimento della vita condiziona in modo prepotente la mia giornata».

Le dispiace se parliamo dei suoi nuovi amori, Madame Ardant? Lei è reticente in proposito.
«È vero. Credevo dipendesse dalla mia innata timidezza ma invece non è così».

Qual è la ragione, allora?
«L’emozione amorosa a me serve per esprimermi al meglio nel mio lavoro. Perché coinvolgere pubblicamente gli uomini della mia vita?, mi chiedo. Così, sia per pudore sia per rispetto, non ne parlo».

Anche se tutti sanno che ha avuto altre due figlie, frutto di due unioni diverse, dopo la morte di Truffaut?
«Per questo mi rifugio nel silenzio».

Ricevuto. C’è molta attesa per «Visage».
«L’universo poetico del regista mi affascina e il suo incontro con la cultura europea è destinato, io credo, a lasciare un segno profondo. Ma non ho ancora visto il film e quindi ogni anticipazione sarebbe più che soggettiva».

Attualmente a Parigi la gente fa la coda per vedere «Hello Goodbye», il film di Graham Guit che ha girato accanto a Depardieu...

«Il mio partner preferito. Accanto a lui mi sento sicura. Siamo due vecchi complici, ormai».

Ardant e Depardieu in Francia sono ciò che da noi erano Loren e Mastroianni. È d’accordo?

«Questo è il nostro quarto film insieme, dopo la parentesi teatrale con La belva nella giungla, il testo di Henry James. Sì, senza accorgercene siamo diventati una coppia».

Il suo «Cendres et sang» sembra avere molto in comune sia con «Hello Goodbye» sia con «Music-Hall». È vero?

«Sono tre storie diverse con un legame di fondo. Al centro di Cendres et sang c’è una donna che dopo vent’anni, di ritorno al suo paese, è vittima della stessa violenza del passato mentre la ricca signora del film con Gérard si ritrova estranea in Israele, la terra dei suoi avi. Lottano entrambe ma purtroppo perdono entrambe».


E invece, la Fanny di «Music-Hall» che a fine giugno chiuderà il

Festival di Napoli?

«Lei è l’unica che sa accettare i rari doni della vita».

Come mai?

«Perché è un’attrice e ogni sera ritrova il calore del pubblico, un amore che non ti lascia mai».

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