da Palermo
Fedele e obbediente, ma anche sobrio e moderato. Sono rigide e dattiloscritte a macchina a carattere maiuscolo le regole del perfetto mafioso. pena, nei casi estremi, la morte. Tra i capitoletti del decalogo c'è pure un titolo che ricorda vagamente la Costituzione: «Diritti e doveri», seguono poi i «dieci comandamenti» che il soldato di Cosa nostra non deve mai trasgredire. E tra questi c'è pure il la puntualizzazione di non avere parenti tra le forze dell'ordine. Una regola che Giuseppe Tumminia, boss di Altarello, fece applicare alla lettera dai Lo Piccolo per scalzare il suo rivale in Giuseppe Geraci per qualche tempo reggente di Altarello. Fu proprio Tumminia a fare le scarpe a Geraci sguinzagliando una serie di 007 che ricostruirono ogni singolo ramo dell'albero genealogico del suo avversario sino a trovare quel neo, quella parentela con un poliziotto che costò a Geraci la scalata verso le parti alte di Cosa Nostra.
Il decalogo del «perfetto mafioso» fu ritrovato tra i documenti sequestrati al boss Salvatore Lo Piccolo, arrestato a novembre dell'anno scorso insieme con altri due capimafia. Contiene regole che hanno l'evidente obiettivo di tutelare in primo luogo la segretezza dell'organizzazione criminale, poi di regolare nel dettaglio i comportamenti degli uomini d'onore. E così il buon mafioso non deve bere, nè giocare a carte, non deve frequentare taverne, nè appunto fare «comparati» con esponenti delle forze dell'ordine. Cosa nostra e i suoi picciotti dedicano anche un'attenzione particolare a quelli che vengono definiti i «valori morali» e in particolare alla morale sessuale, improntata ancora una volta a rigidi divieti. Come se i capi di Cosa nostra volessero imporre alle nuove leve una «restaurazione» dei costumi, mettendo un freno ai comportamenti piuttosto disinvolti dei più giovani.
Il primo comandamento regola l'affiliazione: «Non ci si può presentare da soli ad un altro amico nostro - se non è un terzo a farlo». Poi la fedeltà alla famiglia e il rispetto delle donne degli amici: «Non si guardano mogli di amici nostri». Il terzo riguarda i rapporti di parentela con le forze dell'ordine: «Non si fanno comparati con gli sbirri». Il quarto osserva il costume e le abitudini: «Non si frequentano né taverne e né circoli». Il quinto definisce la disponibilità a mettersi a disposizione di Cosa Nostra: «Si ha il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile, anche se (recita testualmente il decalogo) la moglie sta per partorire». Il sesto puntualizz«: «Si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti». Il settimo riguarda la famiglia nel senso della parentela: «Bisogna portare rispetto alla moglie». L'ottavo «comandamento» punisce i bugiardi: «Quando si è chiamati a sapere qualcosa si dovrà dire la verità». Il nono riguarda gli affari: «Non ci si può appropriare di soldi che sono di altri e di altre famiglie». La decima regola è la più articolata e fornisce indicazioni precise sulle affiliazioni, ovvero su «coloro che non possono entrare a far parte di Cosa nostra». L'organizzazione pone un veto su «chi ha tradimenti sentimentali in famiglia», e infine su «chi ha un comportamento pessimo e che non tiene ai valori morali». Assieme ai quattro fogli che contenevano le regole per essere un mafioso perfetto la polizia ha sequestrato anche un'immaginetta sacra con la formula rituale di affiliazione: «Giuro di essere fedele a Cosa nostra, se dovessi tradire le mie carni devono bruciare - come brucia questa immagine».
Sembra roba d'altri tempi, di quando ai padrini si salutavano col «baciamo le mani». E invece sono regole datate 2007: che i Lo Piccolo avevano scritto a macchina e che un esercito di affiliati osservava scrupolosamente.
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