Politica

Ma a decidere sono ancora una volta gli elettori di centro

Alessandro Corneli

È iniziata una strana operazione: disaggregare il «no» dei francesi al Trattato costituzionale europeo e individuare le motivazioni delle sue singole componenti per demolirne la consistenza ad una ad una. In altre parole: si guardano gli alberi ma non la foresta. Eppure la foresta è l'Europa disegnata da quella Costituzione rigettata in modo clamoroso.
La tesi che si cerca di far passare è che il «no» è stato determinato dall’alleanza tra estrema destra ed estrema sinistra, cui si è sommata più della metà dei voti dei socialisti che sarebbero stati più espressione di ostilità verso la coppia Chirac-Raffarin che non verso l'Unione europea. Se questo fosse vero, sarebbe facile sostenere anche che il voto è stato sostanzialmente di protesta e quindi rovesciabile appena si presenterà l’occasione.
Invece il voto di rigetto è stato realmente trasversale e a decidere è stato lo spostamento di molti voti del centro, di elettori che nel 1992 avevano approvato il Trattato di Maastricht e nel 2002 avevano eletto Chirac, «europeista antiamericano», contro lo xenofobo e antieuropeo Le Pen. Senza dubbio il «no» è diventato un grande contenitore in cui ciascuno ha messo la propria ideologia e i propri disagi (come la disoccupazione) attribuiti prevalentemente all'allargamento Ue, alle delocalizzazioni di industrie, alla concorrenza di lavoratori che chiedono salari molto più bassi. Ma non è possibile definire questi atteggiamenti come anti-europei, e quindi buttarli nell'urna di serie B. Sono realtà molto concrete (in Francia la disoccupazione è al 10%) contro le quali naufraga tutta la retorica sull'Europa. Di fronte a questi problemi, la maggioranza dei francesi ha espresso un chiaro messaggio: spetta agli Stati (cioè ai governi nazionali) affrontarli e risolverli perché l'Europa non si è dimostrata in grado di risolverli. Anzi, nemmeno è riuscita a prevederli e a mettere a punto delle politiche per affrontarli.
C'è una verità semplice che vale sempre in politica: la gente è disposta a credere alle promesse dei leader, non una ma più volte. Poi, alla fine, si stanca. Ciò che i leader hanno promesso, dal 1991 ad oggi, cioè dal Trattato di Maastricht fino al Trattato costituzionale approvato il 29 ottobre scorso, è stata un'Europa della pace e del benessere, dello sviluppo e dell'occupazione. Ebbene, nessuna di queste promesse è stata mantenuta. Non c'è da meravigliarsi che nel Paese dove il processo di integrazione europeo fu lanciato per la prima volta nel 1950 sia alla fine esplosa la protesta.
Per questo il «no» è stato trasversale. Il 20 settembre 1992, questi stessi francesi approvarono il Trattato di Maastricht per un pugno di voti, con il 50,1%: chiara indicazione che tredici anni fa le riserve sull'Europa erano grandi. Allora, l'opposizione era guidata dai gollisti Pasqua e Séguin e fu la presa di posizione personale di Chirac a fare pendere la bilancia dalla parte della ratifica, aggiungendosi ai socialisti che detenevano l'Eliseo con François Mitterrand. Mentre le estreme hanno sempre mantenuto una linea di opposizione all'Europa, la decisione questa volta è stata presa al centro, coinvolgendo sia una parte dei socialisti (i sondaggi parlano di oltre il 60%) sia soprattutto una parte dei sostenitori ufficiali del presidente Chirac, i gollisti. Se consideriamo i voti presi dai diversi partiti tre anni fa alle Legislative (primo turno), otteniamo che gli avversari per principio all'Europa rappresentavano circa il 35% del totale. Ora, per arrivare al 55%, quel 20% che si è spostato non riguarda solo i socialisti che hanno seguito Fabius anziché Hollande, ma riguarda anche una fetta consistente di chi aveva votato Chirac.
Chirac, il 5 maggio 2002, era stato eletto presidente con 25,5 milioni di voti, contro i 5,5 di Le Pen, con un'affluenza alle urne dell'79,7%, cioè 10 punti percentuali superiore a quella del referendum di domenica. Il «sì» ha raccolto appena 12,6 milioni di voti contro i 15,4 milioni del «no». Questo significa che Chirac ha perso per strada, in tre anni, 10 milioni di voti, solo in limitata parte attribuibili all'estrema sinistra.
Tuttavia non si può sostenere che la Francia abbia voltato le spalle all'Europa. L'Europa non condivisa e rifiutata è quella che si è innalzata, con grandi ambizioni disegnate dall'alto dai suoi leader, sul Trattato di Maastricht, e che pur non avendole realizzate, ha cercato di ottenere ancora di più con il Trattato costituzionale. Il netto giudizio negativo è stato su questa prospettiva di maggiore integrazione federale, che bisognerà correggere rispettando la volontà dei cittadini.

Il Wall Street Journal ha commentato: «La Costituzione ha perso, ma la democrazia ha vinto».

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