Il decreto Roma cambi rotta: tagliamo le poltrone nei comuni

di Carlo Maria Lomartire
Gianni Alemanno insiste, vuole per Roma 60 consiglieri e 15 assessori. Per la sua città non deve valere la norma che ne ridimensiona gli organi di rappresentanza e amministrativi. La motivazione è sempre la stessa e sta in due paroline magiche «Roma-capitale», che in quanto tale avrebbe diritto ad un numero indefinito di trattamenti privilegiati.
Per non metterla subito in questi termini ha provato a estendere l’eccezione alle città con più di un milione di abitanti, coinvolgendo, quindi, anche Milano e Napoli. Ma l’operazione non ha funzionato perché a Napolitano non piaceva - e stavolta è difficile dargli torto - che questa norma, malignamente battezzata «millepoltrone», fosse incongruamente inserita nel decreto che ripristina i fondi per la cultura aumentando di un centesimo l’accisa sui carburanti. Come si fa a rifiutare tagli alle spese «politiche» delle amministrazioni locali con lo stesso testo con cui si chiede alla gente di pagare di più la benzina? Bisogna ammettere che desta quasi ammirazione il coraggio di Alemanno. Ci vuole fegato, infatti, a sostenere con tanta determinazione una misura palesemente impopolare e ingiusta: pretendere, sostenere, in tempi di tagli e ristrettezze, che i sacrifici vanno bene per tutti tranne che per la cosiddetta casta. Ma forse dovrebbe prima dimostrare che con 60 consiglieri e 15 assessori si governa meglio che con 48 consiglieri e 12 assessori - esercizio che, allo stato delle cose, mi sembra quanto meno temerario.
Oppure Alemanno potrebbe proporre, in cambio, una riduzione delle indennità, delle auto blu e degli altri «benefit» castali. O, meglio ancora, potrebbe metterla così: se proprio si vuole ridimensionare l’apparato amministrativo e ridurne i costi, perché non cominciamo con l’abolizione delle province? Per non dire dello sfoltimento del più pletorico e affollato parlamento delle democrazie occidentali di cui da anni si parla invano. Perché, cioè, non cominciamo dalla testa? E su questo, lo dico a titolo personale mi troverebbe d’accordo, insieme a qualche milione di cittadini. Qualunquismo? Niente affatto. In certe aziende, quando ci sono seri problemi finanziari e si vuole ridurre i costi, alcuni severi amministratori - Franco Tatò, ad esempio, è uno di questi, lo so per esperienza personale - tagliano senza pietà anche voci quantitativamente poco importanti, come la carta per le fotocopie o le penne biro o l’acqua calda dei bagni. Lo fanno non tanto per il risparmio che ne ottengono, che sanno essere minimo, ma per dare a tutti un segnale di austerità, per creare un clima che poi, modificando i comportamenti personali, produca quasi spontaneamente delle economie.
Ecco, la riduzione del numero degli amministratori comunali dovrebbe servire in primo luogo, ma non solo, a questo; a creare, cioè, un’atmosfera un po’ più svizzera e meno italiana, piú da formica e meno da cicala. Certo, tutto sarebbe più convincente se la promessa soppressione delle province fosse diventata realtà, ma ciò non toglie che il ridimensionamento dei consigli e delle giunte comunali sia un’operazione saggia in sé.
E Alemanno farebbe cosa buona e giusta ad abbandonare questa che un tempo, con linguaggio della sinistra, si sarebbe chiamata una battaglia di retroguardia.

Se poi ha della gente da sistemare a tutti i costi (costi per la collettività, farebbe bene a ricordare che i debiti di Roma li sta pagando lo Stato) trovi qualche altra strada. Da parte loro gli amministratori di Milano e Napoli farebbero bene a prendere chiaramente e nettamente posizione, evitando il comodo ruolo del pesce in barile.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica