Nel capitolo «risparmi» della Finanziaria risulta un taglio di 16 milioni all'ambaradam olimpico torinese. Per Romano Prodi si tratta di una rappresaglia del governo nei confronti degli elettori che votarono alle regionali per la Bresso. Per la confraternita olimpica subalpina si tratta invece di una congiura: Roma vuole impedire che i XX Giochi della neve riscuotano lo strepitoso successo che, con quei 16 milioni in cassa, si dava come assodato. Le considerazioni di Prodi, roba da comiziante di quart'ordine, non meritano d'esser prese in considerazione. Più interessante è la reazione del nucleo storico del Toroc (Torino Organising Committee) l'agenzia alla quale furono affidati i Giochi olimpici invernali.
Quando, nel giugno del 1999, l'assemblea del Cio assegnò i giochi a Torino, il quotidiano locale,La Stampa, titolò in prima pagina: «Cosa vuol dire non essere Roma». «È stata premiata la torinesità», si leggeva, «la passione per i progetti seri e il lavoro ben fatto. Basta solo confrontare la sobrietà della campagna per la candidatura alle Olimpiadi invernali e il rumoroso ricordo del tentativo, andato a vuoto, di Roma 2004, con il confuso alternarsi di diplomatici improvvisati, mediatori, sensali, hostess discinte, principesse in rovina...». Una bella manifestazione di altezzosità sabauda e del complesso di superiorità che affligge la sinistra, chiamata a gestire non una olimpiade minore, come tutte quelle invernali, ma, in mano loro, un evento che avrebbe stupito il mondo cambiando volto e futuro di Torino. Tanto per cominciare il sindaco (di sinistra) Valentino Castellani, pur non avendo alcuna competenza o semplice esperienza nella pianificazione di manifestazioni sportive, si autoproclamò presidente del Toroc. Non accontentandosi dei sei anni che lo separavano dalle gare, protrasse la presidenza fino al 2008, onde poter amministrare anche il dopo olimpiadi, qualsiasi cosa ciò possa significare. Una volta nominato il comitato direttivo vennero stabiliti i compensi. Compresi fra i circa un milione all'anno (per 8 anni) e, per i più disgraziati, i 500mila euri. Ma a questi torinesi sobri e pieni di civile passione, sembrò ancora poco. Così si assegnarono un premio «per la riuscita delle Olimpiadi» (cosa vuol dire? S'è mai sentito di una Olimpiade che non sia «riuscita»?): un milione cadauno e val la pena riferire che con rigore sabaudo c'è stato chi non ha voluto aspettare la fine dei giochi per intascare il malloppo, chiedendo e ottenendo un congruo anticipo su quel milione.
Sistemati i propri affari e messa in piedi una struttura elefantiaca - oltre mille dipendenti - bastarono al Toroc un paio d'anni per mostrare cosa volesse dire «non essere Roma». Volle dire ritardi nei lavori; l'ammissione che diverse «grandi opere» sarebbero state (forse) terminate nel 2008 o 2010; strutture alberghiere nei campi di gara che secondo un rapporto del Cio denunciavano carenze eccessive anche per un campionato di bocce; l'intervento della magistratura che intese vederci chiaro in certi appalti e in certe consulenze ed infine un buco nel bilancio di circa 250 milioni. Tutte cose che secondo Ettore Boffano di Repubblica, quotidiano decisamente al di sopra di ogni sospetto, «hanno mostrato a tutti l'inconsistenza manageriale del sindaco della società civile», ovvero del capo del Toroc, Valentino Castellani. Il quale, bersagliato di critiche, fu lì lì per dimettersi, ma poi, fatti due conti, preferì di restare al proprio posto seppur senza poteri, a titolo coreografico anche se con lo stipendio assicurato fino al 2008.
Con l'acqua alla gola e la prospettiva di dichiarare forfait, i rocciosi progressisti sabaudi s'erano infatti risolti a chieder aiuto alla Roma dei «diplomatici improvvisati, mediatori, sensali, hostess discinte e principesse in rovina». E Roma corse in soccorso portando soldi ma pretendendo, giustamente, che ad amministrarli non fosse più la vecchia banda del buco (in bilancio). Oltre a mettere a capo del Toroc un solido competente in materia, Mario Pescante (nato ad Avezzano: colpo durissimo per la torinesità), chiese che i responsabili del dissesto - Castellani, il direttore Paolo Rota e il vicedirettore Marcello Pochettino - fossero gentilmente messi in mobilità. Castellani, come abbiamo detto, ottenne di restare a non far niente (un niente lautamente retribuito), gli altri due dovettero fare le valigie. Ma che valigie: buonuscita di un milione e mezzo per il primo e di un milione per il secondo, perché questo è lo spirito del Toroc progressista e molto «vecchio Piemonte», sobrio e virtuoso. E ciò non ostante capace ancora di protestare per il taglio di 16 milioni, goccia d'acqua nell'oceano di danaro già speso e ancora da spendere per otto giorni di gare di sci e di slittino.
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