Delfino assolto, il procuratore se la prende col pm

Genova«L’appello contro l’assoluzione di Luca Delfino non appare scontato, forse può essere inutile». Il giorno dopo la sentenza choc che ha fatto urlare all’assassino di Maria Antonia Multari: «Sono un uomo libero», il massimo rappresentante della Corte d’Appello ligure, il pg Luciano Di Noto, non ci sta ad accettate le critiche piovute da tutte le parti. Soprattutto dalla famiglia di Luciana Biggi, la fidanzata uccisa nel 2006, un anno prima di Maria Antonia nel buio dei vicoli di Genova: «Luciana è stata uccisa due volte. Il killer è stato condannato a 16 anni per la “mattanza” di Sanremo. Sarà fuori dal carcere in meno di dieci».
Una «bomba» che innesca ancora una volta il durissimo scontro avvenuto fra organi investigativi e inquirenti alla drammatica luce del delitto di Sanremo. Ma anche, stavolta, una dura critica del pm che arriva dal suo superiore diretto.
Sul primo fronte, da un lato c’era la squadra mobile di via Diaz con il vicequestore Claudio Sanfilippo, oggi vicario a Parma, che accusava la Procura di non avere trattenuto in cella Delfino nonostante la «pistola fumante» e la mole di «prove evidenti». Dall’altro il nono piano di Palazzo di Giustizia con il pm Enrico Zucca, oggi sostituto procuratore generale, che non aveva ravvisato «gravi indizi» e, in mancanza pure della nuova legge sullo stalking, non aveva potuto tenere in cella Delfino. E lo aveva dichiarato lui stesso una volta: «La Cassazione mi ha dato ragione».
Ma sul secondo fronte da un lato c’è lo stesso Zucca e dall’altro Di Noto, che osserva, pesantissimo: «Il pm ha preso una decisione che poteva anche essere opinabile». Un giudizio che è un affondo di sciabola. In poche parole, si è sfiorata l’archiviazione e la vaporizzazione del processo per l’omicidio di Luciana in vico San Bernardo. Pesantissimo. «Le polemiche e gli scontri con le accuse del dottor Sanfilippo - aggiunge - sono risultate inusitate perché, in assenza dei gravi indizi, il pm non poteva avere successo nella richiesta di misure cautelari in carcere».
Quanto al processo, Di Noto ricorda che tutte le norme previste dal Codice a Genova sono state rispettate e spiega che nel nostro ordinamento occorre riconoscere l’imputato come colpevole «al di là di ogni ragionevole dubbio». Il Procuratore Generale difende il sistema Giustizia e, alle pesanti reazioni sull’assoluzione dell’altro giorno, risponde: «Comprensibili dal punto di vista emotivo, ma non possono essere giustificati i commenti arrivati dai parenti delle vittime».
Enrico Zucca, ciò nonostante, è andato oltre e non si è arreso, ma è stato in grado di portare in dibattimento soltanto «quel poco» che la polizia gli aveva messo a disposizione contro Delfino. Sanfilippo, che nella guerra con il pm alla fine ci aveva «ingiustamente» rimesso le penne con il trasferimento da Genova a Parma, si è sempre mostrato orgoglioso e sereno del «buon lavoro» dei suoi uomini che avevano individuato Luca Delfino dopo «accurate indagini». I poliziotti ne sono ancora oggi convinti: lo dimostra pure la decisione di avere portato il killer alla sbarra anche per il delitto Biggi. Per un processo che si è concluso in modo incomprensibile per i parenti delle vittime che si dicono: «Sconcertati, preoccupati e sconfortati».

«Non si può certo affermare che a Genova non sia stata fatta giustizia» commenta ancora Di Noto con parole dure come macigni che stringono il cuore di tutti, ma che intendono fare percepire il senso di equilibrio, sobrietà e serietà delle toghe genovesi «in mancanza di prove».
Delfino, lo sguardo allucinato perso nel vuoto, da solo nella sua cella a Pontedecimo, continua a urlare a squarciagola: «Sono libero».

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