Parigi - Per parlare con uno degli uomini più ricchi del pianeta Terra basta solo premere un tasto sul telefono. Ce l’hanno i 79mila dipendenti della Dell, Inc e c’è scritto solo Michael. Lui.
Michael Dell ha 42 anni, ha fondato l’azienda che porta il nome dei suoi computer quando ne aveva 19, è stato il più giovane imprenditore americano a entrare nella classifica Fortune 500 - basta la parola per capirci -, ora ha un patrimonio personale stimato in circa 16 miliardi di dollari (se volete fare i conti in vecchie lire moltiplicate più o meno per milleecinquecento...) e dopo essersi preso tre anni di pausa a gennaio ha deciso di tornare a issarsi sulla poltrona di Ceo, ovvero quella del capo assoluto: «Quando sei il fondatore di un’azienda puoi fare solo ombra a chi sta seduto al posto tuo». E alla domanda «scusi, ma chi glielo fa fare?», la risposta è disarmante: «Perché no? È divertente».
Michael Dell è insomma così, non parla mai di soldi e ti riceve sportivo e senza cravatta con quella faccia da fratello minore di Brad Gilbert, l’ex tennista americano che ora insegna alle giovani star della racchetta come si fa a vincere giocando un po’ sporco. Forse infatti è arrivato il momento: il fenomeno Dell, l’azienda che ha fatto fortuna vendendo pc senza passare dai negozi e che ha contribuito per questo ad abbattere il prezzo dei computer (quando negli anni ’80 costavano tremila dollari a pezzo lui li vendeva più o meno a mille e personalizzandoli cliente per cliente), un po’ arranca. La concorrenza avanza, i conti - dicono gli analisti - sono in affanno e già si annuncia il taglio di 8-9mila dipendenti, anche se - giusto perché le cose vanno così così - l’introito operativo per il primo quarto del 2008 è previsto in 947 milioni di dollari. Tanto per cominciare.
L’asta di francobolli
Michael Dell allora ha deciso che «è l’ora di una nuova sfida» e ti guarda sorridente ma con la mascella ben ferma di una vera e propria storia americana quando annuncia che per gli altri non sarà di nuovo facile. Lo capì - che le sfide vanno accettate - quando era solo adolescente e collezionava francobolli: «Noi dobbiamo dare alla gente quello che la gente vuole». Così, allora, raccolse duemila dollari con la prima asta organizzata con un annuncio sui quotidiani di Houston, Texas. Poi - innamoratosi di un Apple II - se lo fece comprare dai genitori e cominciò a studiarlo, realizzando che un computer in fondo è come la vita, un puzzle: si può smontare e rimettere insieme migliorandolo.
Insomma, Dell cominciò appunto a costruire pc su misura per rivenderli a un terzo del costo del mercato senza passare dai negozi. E a 19 anni, abbandonata l’università, trasformò la Pc’s Limited nella Dell Computer Corporation grazie a un capitale di mille dollari che quattro anni più tardi, quando quotò la società in Borsa, era già stato moltiplicato per 85mila. Una fortuna tutta basata su una semplice formuletta: «Direct from Dell», direttamente da Dell, assistenza in luogo compresa. E niente fronzoli: modelli spartani ma efficienti pensati più che altro per le aziende.
I numeri contano dunque per uno dei miti dei self made men venuto a patti con se stesso: se fino a qualche anno fa diceva «se io fossi Steve Jobs parlerei di meno e lavorerei di più», ora il suo servizio di shopping online ha messo in vendita gli iPod di Apple. E anche se Michael non vuole parlare di soldi e non ha una cravatta da allentare, si è riarrotolato le maniche per ricominciare a lavorare sul serio confrontandosi a Parigi con aziende, clienti e giornalisti. Dell insomma cambia, Michael pure: dal mese prossimo la catena Wal Mart comincerà a vendere alcuni suoi modelli in negozio, il «primo passo di molti altri». E la camminata proseguirà in Europa fino ai nuovi mercati in Asia e Africa: «Oggi un milione di persone al mondo usa un computer. Noi dobbiamo preoccuparci del prossimo milione».
La nuova era
In pratica: con qualche anno e molti miliardi di dollari in più Michael Dell decide che è il momento di giocare di nuovo, i suoi computer saranno più moderni, più efficienti, più fashion e, soprattutto, in vendita come tutti gli altri. E mentre lo dice sa già che potrà contare su altri soldi anche senza parlarne: «Nella vita non bisogna fermarsi mai, quello che va bene oggi domani magari non lo sarà più. La nostra formula è stata vincente per anni, ma il futuro è già oggi, in breve tempo le cose cambieranno, abbiamo bisogno di una nuova generazione di prodotti. È l’ora di una nuova sfida». Che, per dirla alla Brad Gilbert, va giocata «winning ugly», vincendo con ogni mezzo. Ecco allora che uno degli uomini più ricchi del pianeta torna sulla Terra e spiega in un’oretta di colloquio il suo senso della vita e degli affari. Che, a 42 anni, si può riassumere così.
Il tempo: «Cos’è cambiato rispetto a vent’anni fa? Allora, avevo un sogno e ce l’avevano quelli che pensavano ai computer come un futuro. Adesso c’è la realtà che viaggia veloce. Allora si ragionava a lungo termine, adesso si investe a breve. Bisogna tornare indietro, pensare guardando lontano».
Le idee: «Chi non le cambia mai finisce per fallire. Forse io, noi, siamo stati troppo tempo a meditare: ma continuavamo a crescere di successo in successo, molte idee ci giravano in testa ma le abbiamo lasciate lì. Dobbiamo riprenderle, è il momento».
Il segreto: «Per avere successo bisogna essere sempre impazienti e un po’ insoddisfatti. Bisogna sempre essere pronti a svoltare, ma questo non vuol dire abbandonare ciò che sai fare bene. Nella vita, e negli affari, l’importante è crescere. Sempre».
Il business: «Non posso pensare di poter comandare tutte le mie aziende nel mondo da Austin nel Texas. Se voglio puntare sull’Europa mi devo fidare di persone che conoscono di più la cultura e il modo di comprare qui da voi. E così sarà in Cina, Giappone, in India e in Africa. Nel Duemila la tecnologia è sempre più di moda e le persone scelgono sempre più autonomamente. L’unica cosa da fare è sapere cosa vogliono».
Gli obbiettivi: «Noi siamo i numeri uno nel settore commerciale ma solo i numeri 3-4 nel settore consumer. Questo basta per capire che bisogna migliorare. E poi vogliamo far comprendere alle aziende che rinnovare spesso la propria tecnologia è più conveniente. E che mantenere quella vecchia è come dar da mangiare a un dinosauro».
Il traguardo: «Design, marketing e nuove fabbriche sono le nostre priorità adesso. In 4 o 5 anni questa compagnia cambierà radicalmente, fino alla prossima sfida. Avremo nuovi prodotti da lanciare, vi stupiremo. Il mio preferito? Non posso dirlo perché devo ancora annunciarlo...».
Zero carbone
E poi, ancora, c’è un’altra svolta, un altro Michael: «Voglio diventare il produttore di pc più verde del mondo». Nel senso: «Produrremo batterie di lunghissima durata che renderanno molto meno necessario avere i computer attaccati alla corrente. Questo vuol dire risparmio e meno emissioni di gas nocivi. Vogliamo che i nostri clienti diventino carbon neutral e per questo lanciamo anche in Europa la campagna Plant a tree for me: ogni computer venduto equivale a un albero piantato in Ungheria nel piano di un progetto di riforestazione, perché più alberi ci sono e più anidride carbonica viene assorbita. Oggi, ad esempio, un cliente me ne ha comprati sedicimila e io ho promesso che nei primi tre mesi della campagna pareggerò l’offerta. Tra un po’ verrà fuori una jungla».
Ecologista, dunque. Anche.
Forse. «Qui in Europa c’è molta richiesta di idee alternative in tema di energia e anche in Usa la coscienza su questi temi si sta svegliando. Noi dobbiamo dare alla gente quello che la gente vuole...». Già sentita, no?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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