Dell'Utri fa scena muta: "Ho imparato la lezione"

Interrogatorio in procura a Roma. Il senatore azzurro si avvale della facoltà di non rispondere: "Anni fa parlai 17 ore e mi rinviarono a giudizio"

Roma Dalle nove ore di Denis Verdini ai trenta minuti di Marcello Dell’Utri. Che, arrivato poco dopo le 15 in procura a Roma, non concede il bis dell’interrogatorio-maratona che ieri ha visto protagonista il coordinatore del Pdl. Il senatore del Pdl, indagato per associazione per delinquere e per violazione della legge Anselmi, esce pochi minuti più tardi, insieme ai suoi avvocati Pietro Federico e Giuseppe Di Peri.
I pm romani Giancarlo Capaldo e Rodolfo Sabelli gli volevano contestare la partecipazione a una serie di incontri nella casa romana di Verdini, in particolare quello del 23 settembre scorso dove, secondo l’ipotesi della procura, insieme tra gli altri a Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi (poi arrestati), si sarebbero studiate «strategie» per influenzare la decisione della Consulta sul Lodo Alfano. Che, come è noto, venne invece bocciato dalla Corte Costituzionale. Per la procura, nella P3 Dell’Utri avrebbe avuto un ruolo «politico» superiore a quello di Verdini. Ma il senatore ieri si è avvalso della facoltà di non rispondere, una «regola fondamentale per l’indagato provveduto», come ha commentato il suo legale, Federico. «È una mia regola fissa da 15 anni - ha ribadito Dell’Utri lasciando la procura - quand’ero imputato a Palermo. Allora parlai 17 ore, e con quello che dissi mi ritrovai rinviato a giudizio». Anche con i cronisti il senatore non è entrato nel merito delle indagini: «Non avendo parlato con i procuratori non mi sembra il caso di farlo con la stampa», ha commentato. La «facoltà» di non rispondere è prevista dalla legge. Ma Massimo Donadi dell’Idv ha parlato di «lezione d’omertà».

Di parere opposto il parlamentare del Pdl, e membro della commissione Antimafia, Amedeo Laboccetta: «Quando si ha di fronte una magistratura animata da pregiudizio e che è su posizioni preconcette è preferibile e giusto esercitare il proprio diritto al silenzio».

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