Se un produttore, Marin Karmitz, pur di produrre un film, Like someone in love di Abbas Kiarostami, ieri in concorso a Cannes, decide di vendere allasta da Sothebys unopera di Yves Klein cui era affezionato, con che cuore e con che diritto noi recensori possiamo dirgli che avrebbe fatto meglio a tenersela appesa in salotto? Karmitz ha prodotto film di Chabrol, Malle, Kieslowski, Bellocchio, Godard e insomma di cinema ne mastica. Quanto alliraniano Kiarostami, ha vinto a Venezia nel 1999 con Il vento ci porterà via, è stato Palma doro a Cannes nel 97 con Il sapore delle ciliegie e lanno scorso, con Copia conforme, fece ottenere a Juliette Binoche il premio per la migliore interpretazione femminile, e, insomma, è un mostro sacro... Eppure, Like someone in love è, come egli stesso dice, «un film che non comincia e non finisce» e sarà anche vero che «la stessa cosa succede nella vita. Cera prima di noi, ci sarà anche dopo», ma nelle due ore scarse della sua durata, lo spettatore si chiede dove voglia arrivare, e perché.
La storia è semplice: ambientata in Giappone («Così la smetteranno di dire che faccio film occidentali»), racconta lincontro fra un vecchio professore e una giovane studentessa che si guadagna la vita facendo la call girl. Non si conoscono, anche se lui pensa di poterla capire. La riceve a casa, lei si addormenta. Il giorno dopo laccompagna alluniversità, dove il fidanzato geloso lo scambia per il nonno. Lanziano è un sociologo, ha tenuto corsi sui meccanismi della violenza, pensa di saper gestire le reazioni e le relazioni umane. Il ragazzo gli romperà con un sasso il vetro dello studio, una volta scoperta la sua vera identità. Girato quasi sempre in spazi ristretti, un taxi, un bar, unautomobile, il film ha qualche momento di ironia (la studentessa che confonde Darwin con Durkheim), ma lestrema rarefazione del regista non aiuta il povero spettatore, nonostante la dichiarazione di aver voluto fare «dei personaggi universali, riconoscibili a tutti».
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