Un gregge di pecore, un paio di uomini nudi, gruppi esagitati, travestiti vari, indemoniati tutti, fantasmi improvvisi, la nebbia, lacquerugiola, il Tourmalet, un lussemburghese dentro una maglia bianca, uno spagnolo addobbato di giallo anche nei piedi. Molto, tutto, nientaltro. Ventidue giorni di Tour per vedere un film già visto, ai francesi ancor gli girano ma stavolta non cè nemmeno un italiano che sia uno, eventualmente qualche turista o interessato al formaggio di pecora e prodotti locali, vino e affini.
Finalone da repertorio per chi sta alla finestra del ciclismo, dunque i telespettatori di un Tour spalmato tra digitale, satellitare, analogico, varie ed eventuali, un casino organizzato. Pomeriggio di calura italiana e di brouillard di Francia, Schleck e Contador sono andati in cima come fidanzatini, tubavano non lottavano, bellezze in bicicletta non stravolti dalla fatica, ogni tanto una sbirciatina di sghembo, ogni tanto un colpo più secco sui pedali, ogni tanto una parola di accordo, tra gli strilli isterici delle due strisce di tifosi, urlavano, agitavano bandiere, mostravano elmi cornuti, mulinavano bastoni, come sempre, da sempre, sembravano travolgere gli attori che proseguivano tranquilli, solitari, nel loro personalissimo corridoio, quasi un deserto silenzioso, poi, di colpo, come sempre, da sempre, il popolo del manicomio spariva, il corteo invasato si apriva, Schleck tirava sognante in testa, Contador perfido, era la sua ombra, visi pallidi nel tulle della nebbia, legati da un elastico invisibile, uno fintava lallungo, laltro gli si affiancava soltanto respirando; luomo in giallo la sapeva lunga, un torero pronto a matare, il giovanotto in bianco, con il cognome come una leccata di mucca, si voltava per capire e non capiva, forse; noi di sicuro, invece, romantici e ignoranti, prima o poi qualcosa doveva pur accadere. Non accadeva. Non è accaduto, nessuna guerra, nemmeno la guerriglia, conto alla rovescia, cinque chilometri, quattro, tre, la strada saliva, noi a spingere, a caracollare, di qua la bicicletta di là il nostro corpo flaccido, sudato molto di più dei due, mentre i due piccioncini pedalavano quieti, sicuri di essere i migliori, i più forti. Sta a vedere che dalla nebbia spunta linseguitore imprevisto. Niente. Sta a vedere che si rompe di nuovo la catena. Nisba, già fatto.
Non ci sono più i Tour di una volta, il solito cialtrone in fondo al bar ribadisce il concetto: meglio la roba di cosa nostra, nel senso buono di Giro dItalia. Finale da Peynet, i due fidanzatini si abbracciano, fine della corsa, inizio di un amore, spunta anche Sarkozy, preferisce le relazioni diplomatiche con lamericano, trattasi di Armstrong, campione alla memoria, in vacanza pagata lungo le strade di Francia. Non cè nemmeno il tempo per la nostalgia, anche se il Tourmalet per i suoi cento anni si aspettava qualcosa di tosto, oltre alle pecore, ai nudisti, a quel tipo con la maglietta di Iniesta.
La delusione Ma il ciclismo vero non può essere una tavola di Peynet
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