«Da ragazzo, ad Atene, conobbi Vangelis Papathanassiou. Molti anni prima di formare gli Aphrodite’s Child diventammo famosi nei club. Io cantavo brani di Ray Charles, Otis Redding, Aretha Franklin. Le mie vere radici sono nel soul». Si racconta con tono pacato Demis Roussos, cantante dalla voce e dalla stazza sontuosa ed ex leader dei gloriosi Aphrodite’s Child; si racconta e spiega perché il suo nuovo disco, Demis - a vent’anni dall’ultima fatica discografica - è una elegante raccolta di ballate influenzate dal sapore «black». Demis è tornato col calore del suo canto e con la poetica dei giorni migliori, e con la sua nuova band ha in programma un tour mondiale che lo vedrà a fine estate in Italia.
Come mai ha deciso di tornare in studio?
«La musica è la mia vita ma non sono un presenzialista, incido solo quando ho qualcosa da dire. Ora il produttore Marc Di Domenico mi ha dato gli stimoli giusti; abbiamo parlato a lungo, mi ha affiancato i Little Barrie e finalmente mi son sentito libero di tornare con un suono semplice e antico, che mi riporta alla mia giovinezza».
Nostalgia dunque?
«No, libertà. Da quarant’anni suono sui palcoscenici di mezzo mondo, e vivo la mia vita da uomo vero, senza compromessi. Ho 63 anni, successo ne ho avuto fin troppo, a questo punto della mia vita non inciderei un disco se non fosse in piena armonia col mio modo di essere».
Questi sono tempi duri per vendere dischi.
«Durissimi, e la sfida mi eccita ancor di più. Va bene internet, ma io ringrazio Dio di aver vissuto tempi in cui la musica e l’arte erano più genuine, tempi in cui la gente usciva di casa a fare una passeggiata per comprare un album senza scaricarlo dal computer».
Come vede il suo ritorno?
«Non è un ritorno, non sono mai andato via, ho sempre cantato. Mi aspetto che il pubblico apprezzi le mie canzoni, la mia voce “nera” e il suono vintage. Mi rimetto in gioco senza trucchi e senza inganni».
Cioè?
«Tanti rocker della mia epoca si uniscono a giovani star non per affinità artistiche, ma per sfruttare il nome di chi va di moda oggi, senza curarsi del genere e dello stile. Per me è importante avere uno stile».
Uno stile completamente diverso da quello degli Aphrodite’s.
«Le nostre erano ballate di grande impatto, abbiamo anticipato il rock progressivo con Rain and Tears e It’s 5 O’Clock. Quanti bei ricordi ho di quell’epoca; eravamo giovani e innocenti nella nostra visione della vita. Poi crescendo abbiamo imparato a soffrire e a ribellarci alle ingiustizie».
Nel nuovo cd infatti c’è anche tanta rabbia.
«Consapevolezza che oggi tutto è appiattito, che la tv e i media hanno annullato il bello e trasformato tutto in apparenza». Insomma canto la mia disillusione».
In tournée canterà anche i successi degli Aphrodite’s?
«Certo, non rinnego il passato; sarò felice di rifare Rain and Tears o We Shall Dance che sono melodie magnifiche, e di presentarle con un suono attuale ma dalle radici antiche».
E perché non riformare la band con Vangelis?
«Vangelis è stato il più importante incontro artistico della mia vita. È un grande compositore di musica elettronica, ma ci parliamo raramente. Non penso che suoneremo mai più insieme: io sono coerente e abbiamo preso strade diverse nel 1971. Non abbiamo bisogno di suonare insieme, né per denaro né per affinità artistiche».
Una dichiarazione dura.
«Una dichiarazione vera. Io guardo avanti. Con questo disco ho realizzato un sogno, e ora ne ho in cantiere un altro: un album di musica country che uscirà presto».
Ma insomma quali sono le sue vere radici musicali?
«Sono un greco nato in
Ma la musica di oggi non le piace proprio?
«Non ho tempo di ascoltarla, però mi piacciono molto i nuovi Depeche Mode».
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