La denuncia: "Fini e Tulliani ci hanno raggirato Il caso Montecarlo non deve essere archiviato"

Nel ribadire il proprio "no" alla richiesta di archiviazione dei pm la Destra denuncia indagini carenti: "L’ex leader di An e il cognato hanno avuto un ingiusto profitto. Tulliani è il proprietario della casa". L'accusa a Pontone: "Mai entrato in casa"

La denuncia: "Fini e Tulliani ci hanno raggirato  
Il caso Montecarlo non deve essere archiviato"

Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica

Archiviare Montecarlo? No, grazie. E il perché è presto detto: le indagini vanno fatte sul serio perché quelle svolte sono a dir poco carenti, unidirezionali, per certi versi inquietanti. Per non parlare delle rogatorie, rivolte solo a Montecarlo e non a Santa Lucia sede delle società off-shore dell’immobile monegasco che per il governo locale «fanno riferimento» a Giancarlo Tulliani. Quanto alle «certezze» sullo stato precario dell’immobile, queste cozzano con le prove scovate dal Giornale e snobbate dalla procura che si è fidata soltanto del racconto di persone vicine a Fini e non di chi, costruttori e operai, in quella casa ha lavorato.

Degli oltre 30 testimoni dell’affaire immobiliare, poi, sono stati ascoltati solo in cinque, di cui quattro fedelissimi dell’ex presidente di An. Quanto alle uniche due persone iscritte sul registro degli indagati solo Pontone, e non Fini, è stato interrogato. E non ha fatto una gran bella figura, l’ex tesoriere di An: per aver detto l’esatto contrario di quanto sostenuto a verbale dagli altri testimoni, adesso rischia, per la Destra, di finire sotto processo per false dichiarazioni al pm e favoreggiamento nei confronti di Fini (insieme alla segretaria Rita Marino), mentre per la truffa gli esponenti della Destra insistono su Fini, Tulliani e Lamorte concordando invece sull’archiviazione di Pontone ritenendolo «vittima» degli artifizi e raggiri del presidente della Camera e del «cognato». Le 69 pagine dell’opposizione alla richiesta di archiviazione depositate in procura dai denuncianti Marco Di Andrea e Roberto Buonasorte, esponenti della Destra di Storace, delineano un quadro sconfortante dell’attività dei magistrati capitolini che prima hanno incentrato gli accertamenti sulla congruità del prezzo dell’appartamento di Boulevard Princesse Charlotte 14 e poi, di fronte alla riprova che il prezzo non era per niente congruo (tre volte inferiore alle stime del 2008) e vedendo che le firme di proprietario e affittuario erano le stesse, hanno deciso di soprassedere poiché trattavasi di questione civile e non più penale.

ARTIFIZI E RAGGIRI
Presa visione degli atti dell’inchiesta, Di Andrea e Buonasorte, insistono con la richiesta di svolgere più indagini e interrogare molte più persone. A cominciare dal cognato di Fini, per passare a Fini stesso. Perché niente torna, perché gli artifizi e i raggiri che per la procura non esistono, sarebbero invece evidenti. Raggirato sarebbe stato Pontone, che ha ammesso di essere intervenuto su precise istruzioni di Fini senza conoscere chi comprava né quali fossero gli antefatti della vendita. «Informazioni queste che, pur essendo disponibili, sarebbero state sottaciute da Fini, che, anzi, si sarebbe avvalso del parere del capo segreteria Lamorte, per prospettare al segretario amministrativo Pontone la convenienza dell’affare attesa la fatiscenza dell’immobile riscontrata anche dal sopralluogo effettuato da Lamorte e dalla Marino» segretaria di Fini. Fatiscenza, in realtà, tutta da dimostrare viste le spese limitate e le testimonianze non registrare dai pm. E ancora. «Si ipotizza, che detta vendita abbia favorito il fratello della compagna di Gianfranco Fini, Giancarlo Tulliani, il quale, in effetti, - allo stato - risulta avere la detenzione qualificata dell’immobile monegasco».

MEZZO MILIONE DI PROFITTO
Insomma, il «coautore Tulliani» avrebbe conseguito «l’ingiusto profitto (valutabile in un arricchimento senza giusta causa del valore di circa Euro 519.000,00) in danno della pluralità degli associati ed in concorso con l’autore (rappresentante degli stessi associati) Gianfranco Fini, il quale, verosimilmente servendosi di artifizi e raggiri, con la partecipazione dell’onorevole Lamorte avrebbe fatto conseguire l’effettiva proprietà del bene associativo al Tulliani, che all’uopo avrebbe predisposto società off-shore per mantenere l’anonimato sulle generalità e la qualità «parentale» dell’effettivo acquirente». Stando così le cose, l’attuale presidente della Camera, «avrebbe agito anche al fine di favorire se stesso nell’utilizzo dell’appartamento monegasco unitamente e con la partecipazione della compagna Elisabetta Tulliani, che, difatti, avrebbe anche provveduto a seguirne direttamente i “lavori di modifiche interne” per adattarlo ai desiderata della coppia».

FINI SAPEVA TUTTO
Di Andrea e Buonasorte, carte alla mano, non credono che Tulliani possa aver tratto in inganno Fini e che quest’ultimo fosse all’oscuro di tutto. Perché? Fini conosceva il valore dell’appartamento, come riferito dall’immobiliarista Apolloni Ghetti (mai interrogato) che fece una stima di oltre un milione di euro. Fini si era interessato alla casa prima che il cognato ci andasse ad abitare, come dimostrato dal dipendente Russo del mobilificio romano dove comprò la cucina Scavolini (mai interrogato), come evidenziato da più testimoni che videro il presidente della Camera nel palazzo (mai interrogati) come raccontato dal costruttore Garzelli (mai interrogato) che parla di telefonate e mail di Elisabetta. Non si capisce, inoltre, perché Fini «avrebbe dovuto sottacere a Pontone il fatto che l’acquirente off-shore fu procacciato dal sedicente mediatore Giancarlo Tulliani». Perché sbagliò le date della compravendita, facendo cenno alla seconda alienazione che non poteva conoscere. L’artifizio che inchioderebbe Fini sarebbe rappresentato «dalla preventiva costituzione di società anonime funzionali allo scopo verosimilmente perseguito da Fini e dal di lui nuovo parente, Giancarlo Tulliani, con la probabile cooperazione del Lamorte, ossi di distrarre clandestinamente l’immobile dal patrimonio di An così dissimulando l’identità dell’effettivo beneficiario della compravendita».

Quanto al reato di truffa non contestabile dai pm a Fini in quanto (ex) presidente di un’associazione «non riconosciuta», la

Destra sottolinea il «rango costituzionale» della stessa che «in forza delle legge 195/74 ottiene contributi pubblici» elargiti col denaro del «contribuente». Quale era per An, in effetti, la contessa Anna Maria Colleoni.

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