La depressione colpì Montanelli. E non ebbe il tempo di curarla

Caro Granzotto, ho letto con molto interesse le pagine dedicate alla commemorazione di Indro Montanelli. Devo riconoscere che la sua ricostruzione sulle presunte ingerenze di Berlusconi verso la redazione sgombra il campo da tanti equivoci messi in piedi ad arte dalla sinistra. Detto questo, però, non posso che rimarcare il dispiacere che Indro Montanelli ha inflitto a tanti lettori come me, con la sua ostilità intransigente verso il progetto politico di Berlusconi. Ricordo ancora quando, nel 1994, Montanelli dichiarava che Berlusconi poteva trasformare «il Giornale» in suo strumento, ma non con lui alla guida. Evidentemente, come lei ha scritto, aveva inteso la battaglia del «Giornale» auspicata da Berlusconi, non come la prosecuzione della difesa della verità e libertà dal conformismo, in cui «il Giornale» si era distinto nei decenni precedenti, ma come strumento della battaglia e delle ambizioni berlusconiane. I fatti, su questo punto, gli hanno dato torto: lo stesso Montanelli ha poi riconosciuto negli anni che Berlusconi sfuggiva ad ogni classificazione e, imprevedibilmente, resisteva sulla scena politica. Inoltre, il Giornale rimane un baluardo del corretto giornalismo d’inchiesta e critica anche il governo se necessario, quindi non è diventato lo strumento di nessuno e prosegue le sue battaglie di sempre. Resta la tristezza che avevo espresso a suo tempo: avrei voluto brindare alla discesa in campo di Berlusconi insieme con tutti i moderati e avrei voluto vedere Indro Montanelli festeggiare con noi la nascita di una nuova era politica, per la quale lui stesso si era battuto e aveva pagato di persona.

Purtroppo, Indro ha preferito non esserci e farsi catturare da un livore antiberlusconiano, forse derivato da uno stato depressivo, che non gli lasciava intravedere alcuna speranza e che traspariva sempre più nei suoi articoli, specie nell’ultimo periodo di direzione al Giornale.

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