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La deputata marocchina di Fini che però non firma la legge Fini

MASCHILISMO «I mariti le segregano e non richiedono i permessi per non dichiararle»

La deputata marocchina di Fini che però non firma la legge Fini

RomaLa proposta di legge sulla cittadinanza dopo 5 anni agli immigrati è «maschilista. Non l’ho firmata». Detto dalla donna musulmana simbolo del Pdl, e ancor più icona della componente finiana del partito, fa un certo effetto. Soprattutto perché il testo bipartisan sulla cittadinanza veloce (firmato dal finiano Granata e dal pd Sarubbi) e che tanto sta facendo arrabbiare la Lega, ha ottenuto la benedizione proprio del presidente della Camera.
Lei è Souad Sbai, presidente dell’associazione donne marocchine in Italia, eletta un anno e mezzo fa in quota An, convinta che l'integrazione degli stranieri in italia debba passare necessariamente attraverso la tutela dell’immigrazione femminile: così come formulata, a parere di Sbai, la proposta di legge della coppia Granata-Sarubbi rischia prima di tutto di estromettere le «150mila donne musulmane che in Italia vivono segregate in casa e costrette dagli stessi mariti all’analfabetismo». Per il semplice fatto che «non sarebbero nemmeno in grado di riempire i moduli per la richiesta della cittadinanza». Per queste donne non libere in una terra libera i mariti «non rinnovano neppure la richiesta di permesso di soggiorno, per evitare di denunciarle».
Ma l’impostazione «maschile» del provvedimento sponsorizzato da Gianfranco Fini, e ufficializzato con entusiasmo dalla strana coppia Pdl-Pd una settimana fa, non è l’unico aspetto negativo del testo, ad avviso di Souad Sbai. Lo ius soli, il diritto di cittadinanza per nascita, è assolutamente contestabile: «Sono contraria all’acquisizione automatica della cittadinanza per un bambino nato in Italia. Credo che questa possa arrivare soltanto dopo la fine quantomeno della scuola dell’obbligo».
La parola che lei del resto ripete sempre è: integrazione. Fu Souad Sbai a lanciare per prima la proposta di legare il permesso di soggiorno al comportamento dell’immigrato in terra straniera con il «permesso di soggiorno a punti», molti mesi prima che ne parlasse la Lega. E questo è davvero il suo pensiero: reciprocità significa che l’immigrato in Italia deve meritarsi il permesso, la stima e di conseguenza anche la cittadinanza. È un dovere-diritto.
I punti contestati nella proposta di legge insomma sono tanti. La tanto sbandierata trasversalità sulla cittadinanza accelerata sembra non sia stata propriamente frutto di un dibattito: «Stavamo dialogando, portando ognuno le proprie proposte - si sfoga alla fine la parlamentare marocchina - ma poi loro (Granata e Sarubbi, ndr) all’improvviso sono usciti da soli con questa proposta di legge, senza consultarci più». Era stata creata una commissione ristretta, composta da otto deputati, che si sarebbe dovuta occupare della proposta di legge. Invece questo non è successo: «Ci siamo rimasti male. Io, la Bernini (Anna Maria, quota An) e Isabella Bertolini, come donne ci siamo sentite offese».
Niente contro Fini, chiarisce lei: «I suoi pensieri sono nobili. Ma di immigrazione dobbiamo discutere insieme. A Granata che mi dice di avere l’ossessione per le donne rispondo che per me ossessione significa fare le cose per bene e non di fretta». Si era parlato addirittura di intitolare la proposta di legge a Hina Saalem, la ragazza pakistana uccisa tre anni fa dai parenti a Brescia. Poi tutto è sfumato.
Sarubbi e Granata si augurano di ottenere «tra le 50 e le 150 firme». Ma viene da pensare: se nemmeno la marocchina di An lo condivide e le donne non hanno apprezzato il metodo di lavoro, come potrà questo testo convincere gli scettici del Pdl? Ieri ha mostrato la sua freddezza il ministro degli Esteri Franco Frattini: «Ci sono persone che vivono in Italia da 15 anni, tramando contro l’Italia come cellule terroristiche. Ogni automatismo per la cittadinanza è pericoloso».
Giovedì in commissione Affari costituzionali prende il via il dibattito su una proposta di legge proprio di Souad Sbai: «Divieto di indossare il burqa»: «E allora lì ci si dovrà esporre - dice lei - si deve dire sì o no».

Nel suo pensiero, è questa la prima battaglia per l’integrazione e per le donne.

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