IL DEPUTATO-STILISTA SANTO VERSACE

Il suo credo è riassumibile in uno slogan. Piatto come il mare in bonaccia: «I magistrati facciano i magistrati». Alla lettera. Dunque, i giudici che decidono di entrare nell’arena della politica devono togliersi la toga. Per sempre. Santo Versace, 65 anni, fratello di Donatella e del compianto Gianni, non è un politico di professione: è da sempre il presidente del gruppo omonimo, uno dei colossi della moda, e solo dal 2008 è deputato, eletto nella sua terra d’origine, la Calabria, su input di Berlusconi. Versace può quindi permettersi di parlare chiaro, a maggior ragione adesso che in Puglia è esploso il caso di Lorenzo Nicastro, pm alla Procura di Bari fino a qualche giorno fa e oggi scalpitante candidato alle regionali per l’Italia dei valori: «Queste mosse alla Nicastro sono inopportune. Per carità, la legge le consente, ma questo andazzo dovrebbe finire».
Perché?
«Perché, indipendentemente dalle idee e dalla caratura di Nicastro, non si può e non si deve usare il lavoro svolto in magistratura come trampolino per la politica».
Nicastro, come tanti altri prima di lui, esercita un suo diritto.
«Lo faccia pure. Ma poi non torni indietro».
Non torni in Parlamento?
«In Parlamento, in Comune, a Strasburgo. Dovunque si fa politica. Chi si schiera non può più fare il magistrato. Proprio perché diventa di parte».
Lei ha presentato una proposta di legge sul tema.
«Per la precisione il 23 marzo 2009. Un anno fa, circa. C’erano le Europee allora, c’era il caso De Magistris. Un altro pm che capitalizzava il credito di popolarità guadagnato sul campo. Così mi sono detto: adesso basta».
In concreto, cosa prevede il suo testo?
«Il punto fondamentale è l’irreversibilità della scelta. Chi è eletto non può più tornare in magistratura. Di più, anche chi si candida ma non ce la fa deve farsi da parte».
Non le pare troppo?
«No, io penso che il magistrato non debba avere un nome e una faccia. Il magistrato parla solo con le sentenze, dev’essere terzo, sopra le parti. Mi pare un dato elementare e ci tengo a dire che la stragrande maggioranza dei giudici è già così».
E allora?
«Non è possibile che una minoranza, per quanto rumorosa, mandi in crisi tutto il sistema. Chi vuole la notorietà, vada al Grande fratello o al programma della De Filippi che, a quanto mi dicono, è una fucina di volti popolari, poi premiati a Sanremo. I magistrati facciano i magistrati e basta. Sono stufo di dover vedere giudici che passano il loro tempo fra un convegno e una trasmissione televisiva. Stiano in ufficio, scrivano le sentenze e, se sono pm, conducano le inchieste».
Sarà, ma intanto le riforme sono al palo. La sua proposta, dopo un anno, a che punto è?
«È ferma. Ma nei prossimi giorni parlerò con la presidente della commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno, e con il presidente Fini perché sia calendarizzata. E cominci il suo iter. L’argomento è caldo, pure il Pd nei giorni scorsi ha scritto un testo, anche se molto più soft. Comunque, non possiamo più aspettare, l’opinione pubblica esige una svolta, la gente è stufa di questa confusione. Il Parlamento deve dare un segnale chiaro nella giusta direzione».
Arriverà?
«È assolutamente necessario. La mischia continua, la zuffa fra le diverse parti deve lasciare il posto ai fatti. Per esempio, dobbiamo abolire i piccoli tribunali che sono improduttivi».
Ma anche su questo fronte non si è mai andati oltre le chiacchiere e i convegni.
«Il momento del cambiamento è arrivato. Non dobbiamo lasciar cadere questa opportunità. Io, del resto, ho accettato l’invito di Berlusconi a scendere in campo con questo scopo: contribuire al bene comune del mio Paese e dare un futuro alla nuova generazione, quella dei miei due figli. Per questo ho riscoperto la mia passione giovanile per la politica: allora ero socialista, oggi sono nel Pdl, la tensione ideale è la stessa. Altrimenti sarei rimasto a tempo pieno in azienda».
A proposito di aziende, dilagano gli arresti fra industriali e manager. Che succede nel mondo delle imprese?
«Ci sono gli imprenditori e i prenditori. E la politica ha le sue responsabilità.

Perché se la politica fa la sua parte i prenditori, i pescecani, quelli che volteggiano come avvoltoi sugli affari della Stato e intrecciano rapporti obliqui con la burocrazia, girano alla larga. E non trovano più il terreno fertile per sviluppare i loro intrallazzi di cui ci parlano le intercettazioni di questi giorni».

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