Il derby di Verdi

RomaMaestro Muti, parliamo un po’?
«Ma di musica e solamente di musica».
Bene. La musica in Italia ieri, oggi, domani.
«D’accordo».
Compositori, oggi. Ce ne sono?
«Certo. Ce ne sono di molto interessanti, che rappresentano correnti e sintassi linguistiche diverse. Io per esempio alla Scala ne ho eseguiti parecchi».
Sciarrino, Battistelli, Manzoni, Fedele, Sollima, Vacchi, Morricone... Con successo e con qualche discussione.
«Stranamente continua una grossa difficoltà col pubblico, già prima dell’ascolto. Probabilmente negli autori c’è a volte carenza di comunicazione, ma se ne esce solo se si educa il pubblico ad un ascolto critico, cioè a giudicare dopo avere ascoltato e cercato di capire».
Ma i teatri osano poco nelle novità.
«I teatri osano poco in tutto. Pensi che ce ne sono 400 in Italia, adatti anche per l’opera, e sono in gran parte chiusi. Mentre in Cina aprono sale di concerti, nel Qatar si è costruita un’orchestra sinfonica favolosa...».
Come fare a riaprirli anche in un tempo non felice economicamente?
«Affidarli a giovani senza dire loro che cosa debbano inventare. Abbiamo bisogno della loro fantasia».
Parliamo dei cantanti. Quanti giovani bravissimi senza lavoro!
Perché?
«Tante ragioni. Mancano i teatri di provincia, e il giro di persone attorno, con la voglia di scoprire i futuri grandi e investire su loro e non di cercare qualche divo per imitare i teatri maggiori. Così gli agenti impongono in cambio altri cantanti scadenti del loro staff. La legge, poi, consente ora al direttore artistico di non sapere la musica e l’agente diventa talora la figura dominante nelle scelte artistiche. I direttori, poi, ora vengono spesso direttamente dal repertorio sinfonico, inesperti nel teatro, e le convocazioni avvengono spesso in modo tale che il direttore non sa nemmeno chi saranno i cantanti e viceversa. Alla fine arrivano i registi, in genere ignari del teatro d’opera e desiderosi di far parlare...».
Un piccolo ricordo bruciante?
«Al mio debutto al Festival di Salisburgo dirigo Don Pasquale di Donizetti. Il regista cecoslovacco non conosce l’italiano, si è fatto tradurre il libretto. La protagonista viene istruita da un amico per impersonare un tipo di donna che deve conquistare per burla un vecchio. “Mi volete fiera?”, chiede fra l’altro, ed a quel punto vedo Emilia Ravaglia che alza le braccia con le mani ad artiglio. Cosa fai?, le chiedo. Risponde: il regista m’ha spiegato: sei una fiera, devi fare la belva, il leone...
Parliamo dei professori d’orchestra.
«Professione bellissima. Quando lo strumentista lo sente, c’è crescita dell’individualità e dell’insieme. L’orgoglio di crescere, di creare insieme agli altri il carattere specifico d’un gruppo musicale e dare il segno dell’armonia. Le grandi orchestre sono il frutto di questa mentalità. Una grande orchestra non può accettare la mediocrità. La storia ce lo insegna: se all’ambizione alla qualità si sostituisce l’assistenzialismo, si cade in un intransigente, cieco sindacalismo che diventa la difesa della mediocrità e si lede l’aspirazione dei musicisti validi a raggiungere l’eccellenza».
Si dice che i professori d’orchestra siano spesso stanchi e frustrati, bisognosi di gratifiche speciali.
«Ma hanno tanti privilegi straordinari. Svolgono il loro mestiere in teatri spesso meravigliosi, hanno per materia di lavoro Mozart, Beethoven, Verdi, e gli altri grandi musicisti, esercitano una professione che hanno scelto...».
Parliamo della Regina d’Inghilterra.
«Beh, questo non è proprio musica, come argomento. Comunque non c’è nulla di segreto o di non chiaro. Ho molta stima per lei e lei mi ha conferito il cavalierato. Se ho rinunciato a dirigere il concerto in onore della Famiglia Reale è stato perché un anno fa avevo indicato un programma di un’ora e un quarto, con brani dove primeggiava il violoncello in onore del Principe Carlo che lo sa suonare, ed altri con cui costruivo un panorama compiuto; all’ultimo momento hanno chiesto di ridurre il concerto, di sostituire al pezzo di Elgar uno di Parrw, insomma di trasformare il concerto in un atto di presenza. Non sapevo neanche con chi parlare, perché mi comunicavano che The Palace aveva stabilito... Da chi cominciavo?».
Chicago. Presto incomincia l’impegno stabile Muti-Filarmonica. «Città di grande civiltà musicale. Ho letto con compiacimento che la figlia ragazzina di Obama, il giorno dopo la sua elezione, era regolarmente a uno dei concerti che la Filarmonica di Chicago dà per i giovani...».
E Roma? Sento che il teatro dell’Opera vive le prove di «Otello» con grande intensità. M’hanno detto che persino l’uomo che arrivava col pane fresco la domenica durante le prove è stato fermato alla porta «perché non bisogna disturbare il Maestro Muti». E che viene chiamato Titano e Antivirus.
«È un teatro dalle grandissime potenzialità. E il nostro è un rapporto così, rispettoso, serissimo e scherzoso.

Pensi che alla prima prova col coro, anziché le parole consuete tipo sono contento di essere tra voi per la prima volta della mia vita, eccetera, mi è venuto: “Sono sicuro che vi hanno detto pessime cose sul mio carattere. Ma vi assicuro che ne so anch’io su di voi. Da questa situazione, però, possono nascere grandi cose». Sono scoppiati a ridere. Lavoriamo sereni, bene. Come sempre quando lo scopo è dare il meglio tutti insieme».

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