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Deschamps: "Non farei cambio con Mancini"

Il tecnico della Juve: "Noi in B, il Milan penalizzato: l’Inter ha meritato, ma ha avuto la vita più facile. I nostri scudetti sono 29: conta il campo. I miei sono senza stimoli? Li capisco"

Deschamps: "Non farei cambio con Mancini"

Vinovo (Torino) - Scusi Deschamps, ma gli scudetti della Juventus sono 29 o 27?
«Ventinove. I campionati si vincono sul campo».
Come faceva da calciatore, Didier Deschamps si piazza a centrocampo e da quella parte non si passa. Gli è toccata la prima Juve in serie B, se l’è caricata sulle spalle, ha stirato il mento e messo giù la testa. Gli azionisti gli hanno dato una bella mano: aumento di capitale di 105 milioni e conferma (Deschamps ha un contratto fino al 2008) della sua riconferma.
«La decisione del cda è un segnale forte e positivo. È la prova delle ambizioni della società e della volontà della famiglia Agnelli di tornare ad essere vicina alla squadra».
«Deschamps non si tocca»: un silenziatore ai fischi di martedì?
«Quelle parole non mi dispiacciono, ma non sono una notizia. Non ho mai avuto segnali negativi dalla proprietà. Questo non vuol dire che le critiche finiranno».
Promozione: se l’aspettava così dura la missione?
«A -30 era un’impresa disperata. A -17 difficile. Poi diventata possibile. Ma nessuno di noi conosceva la B, non eravamo preparati. Questo campionato continua a non piacerci, ma ora ne vediamo le insidie».
La brutta Juventus del primo tempo contro il Treviso va direttamente in serie A o passa dalla gogna dei playoff?
«Se giocheremo ancora così, incontreremo difficoltà ma ho il dovere di non fermarmi a guardare solo 45 minuti».
Ha detto: «Conta solo vincere». Si è piegato alla legge della B?
«È la legge del calcio. Noi dobbiamo odiare la sconfitta. Provare a giocare bene, a volte ci danneggia. Diamo troppi vantaggi agli avversari».
Trezeguet, Nedved, Del Piero, Camoranesi, Buffon: le stelle si accendono e si spengono. Le motivazioni sono già finite?
«Oggi l’aspetto psicologico conta per il 60%. Io non posso entrare nella testa dei giocatori. La serie B è brutta, gli stadi sono brutti. E poi le vedo le nostre avversarie: partite della vita contro di noi e magari sconfitta prima o dopo. Sono stato calciatore, li capisco i miei. Anch’io sono rimasto senza stimoli. E stavo meglio di loro».
Quando?
«Con l’Olympique. Dopo la Coppa dei campioni vinta contro il Milan nel ’93: arrivammo in cima, ripartire fu durissima».
Camoranesi: visto il rendimento, era il caso di fare tutti quegli sforzi per trattenerlo?
«Adesso si può dire di tutto. Ma tra ottobre e novembre ha fatto benissimo. Poi c’è stato qualche problema, è vero, ma io ho scelto questo gruppo e lo difenderò fino in fondo».
L’ha delusa Camoranesi?
«Diciamo che mi ha dato qualche dispiacere».
Sorpreso da Del Piero?
«Alessandro ha sofferto molto negli anni precedenti, ora è un uomo felice. Ma non mi voglio prendere nessun merito».
È l’allenatore in campo?
«No, l’allenatore sono io. Poi con lui c’è fiducia reciproca. Abbiamo giocato insieme, se mi può dare una mano me la dà».
Alex Ferguson, allenatore del Manchester, le ha fatto i complimenti per come sta gestendo la Juventus. Da chi ha imparato?
«Quelle parole mi hanno fatto un immenso piacere. Io ho la mia testa, poi ho preso un po’ da tutti. Da Suaudeau, mio primo allenatore a Nantes; da Jacquet, ct della Francia, e ovviamente da Lippi. Poi, però, bisogna mettere insieme tutto e modellare le esperienze con la realtà».
Vincere in serie B partendo da -9 vale uno scudetto?
«Non lo so. Ma è un’avventura che sembrava impossibile».
Sulla panchina del Monaco è arrivato in finale di Champions league: avrebbe mai pensato di allenare in serie B?
«Questa è la Juve. Non sono il salvatore della patria, ma voglio ridare a questa squadra quello che ho ricevuto. Qui non alleni per allenare, ma per vincere. Sono juventino, mi sento il marchio addosso».
Vista da lontano come le sembra la seria A?
«Ne vedo poca. Guardo la B e qualche partita di Champions».
Per quel «poco» che ha visto: lo scudetto dell’Inter è meritato o dimezzato?
«Vale il verdetto del campo. Ma senza di noi e con Milan e Fiorentina penalizzate, hanno avuto vita più facile. Questo sì».
Cambierebbe la sua panchina con quella di Mancini?
«Per nessun motivo. Sono alla Juve e spero di starci il più a lungo possibile».
Ibrahimovic?
«Mi è bastato allenarlo tre settimane per capirne le qualità. È anche migliorato nel carattere, può ancora crescere. Ho fatto di tutto per trattenerlo. Ma è stato impossibile».
Lampard, Gerrard, Sissoko le voci. Ma quanti rinforzi servono alla Juventus per tornare ad essere competitiva?
«Abbiamo individuato i nomi, ma prima finiamo questo campionato. Se poi Ronaldinho passa da qui, non lo caccio certo via...».
«Primeggiare in Italia e all’estero»: è il suo presidente Cobolli Gigli che parla.
«È il destino della Juve, ma siamo lontanissimi da quelle realtà».
Lei ha detto: «Buffon non si sacrifica per nessuno». Conferma?
«Sì. Buffon non si tocca. E con il nuovo piano, sarà più facile trattenere gli altri».
Ammesso che ne abbia, comprerà nuove azioni della Juve in nome del progetto?
«Non serve.

Se non condividessi i piani me ne sarei già andato».

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