Il dialogo creativo nelle tele di Uberti e Bucchi

Fedora Franzè

Figure stranamente scisse in corpo e segno, denso colore della terra che costruisce volumi e schizzo veloce che ne fa l’eco, la parodia o la maschera tragica in versione attualizzata. Il dialogo tra due artisti di età diverse e diversa attitudine nei confronti della propria creatività e del mondo intorno, si svolge da qualche giorno nelle tele appese in mostra presso la sede del M.I.C.RO. (Movimento internazionale culturale Roma) a Testaccio. Serge Uberti e Danilo Bucchi infatti hanno lavorato alle stesse opere, prima l’uno poi l’altro, oppure al contempo, integrando reciprocamente l’immaginazione e il segno. Entrambi liberamente «figurativi»; il primo è un artista francese quarantenne e già affermato, dalla pittura riflessiva, stratificata, che interagisce con la scultura, spesso e volentieri, in opere di tela dipinta e ferro, legno, carta; il secondo, 27 anni, una formazione accademica e una insistita energia sperimentatrice, ha già sviluppato un percorso che lo ha portato a sostituire la fotografia rielaborata pittoricamente e l’uso dei materiali più vari con immagini squisitamente pittoriche. In questo procedere a due mani colpiscono due cose: intanto il fatto che funzioni al primo impatto, ossia che ne vengano fuori opere interessanti e fluide nell’integrazione tra i due mondi forse perché è sempre un dialogo in cui si distinguono le voci. Poi la capacità di ciascuno di ridurre il campo d’azione a ciò che l’altro sa cogliere e far proprio senza snaturarlo. Operazione delicatissima che ogni incontro, conversazione, relazione umana, dovrebbe porsi come obiettivo almeno sporadico. Quindi nessuna ragione urlata, pur nella forza delle posizioni di Uberti e di Bucchi. Fin troppo facile elencare le differenze tra l’introspezione e lo sguardo diretto, tra il dipingere storico con il colore che via via arrotonda e plasma corpi e figure inanimate e l’azione tutta in superficie in cui il graffito, il murale, la fotografia, il fumetto, le tradizioni d’immediata presa confluiscono in segni elettrici, che arrivano dritti come scariche di energia. In realtà per certi versi i riferimenti culturali invertono la rotta: Piero della Francesca e Fautrier richiamano aspetti della costruzione o condensazione dell’immagine a cui rispettivamente Bucchi e Uberti sembrano sensibili, ad esempio nelle linee dritte che paiono alludere a punti di fuga e in genere sottolineare le «regole», nell’appello invece di Serge Uberti alla materia attraverso il colore e all’informale. Di fatto le opere sono una terza via; oltre la riconoscibilità delle singole «parole» nasce il frutto nuovo del contatto che si dispiega in molte varianti, avendo trovato ciascuno una libertà inaspettata accanto all’altro, un territorio diverso da esplorare. La dialettica tra profondità e linea di primo piano resta in questa occasione il vettore principale della comunicazione estetica, la linea guida attraverso cui si può ricostruire il discorso tra gli artisti.

Tuttavia è una dinamica che appartiene a tutti e due già da prima dell’esperienza attuale, come dialogo interiore e con la realtà, divenuto oggi condiviso.
«La dialettica del segno. Danilo Bucchi e Serge Uberti». M.I.C.RO., Via di Monte Testaccio 34/a. Fino all’11 novembre. Info: 06.45494495.

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