Mondo

«Dialogo con l’islam, ma ci rispettino»

Andrea Tornielli

nostro inviato a Istanbul

«Il viaggio del Papa in Turchia è ancora più importante dopo quanto è seguito al suo intervento di Ratisbona...». Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, a due mesi dalla cruciale visita di Benedetto XVI prevista per fine novembre, riceve un gruppo di giornalisti italiani nella sede del Fanar di Istanbul. Parla delle attese del viaggio papale, delle polemiche con l'islam, dei diritti delle minoranze religiose, dell'ingresso di Ankara nell'Unione europea. Nella modesta «Santa Sede» dell'Oriente, con il canto del muezzìn trasmesso a tutto volume dalla vicina moschea, il sessantaseienne patriarca, che gode di un primato d'onore su tutte le chiese ortodosse ma per il suo Paese è soltanto un privato cittadino, afferma che l'arrivo di Ratzinger, nonostante i segnali negativi degli ultimi giorni, «sarà un'occasione per coltivare il dialogo» con gli islamici. E si dice sicuro che lo Stato turco saprà garantire la sicurezza dell'ospite.
Santità, come giudica quanto accaduto dopo la lezione del Papa a Ratisbona?
«Quei contenuti erano ben conosciuti a tutti. Non vogliamo in alcun modo che esistano tensioni con i credenti di altre religioni, il nostro patriarcato lavora già da molti anni per il dialogo e sono sicuro che Benedetto XVI non aveva alcuna intenzione di offendere l'islam, i nostri fratelli e sorelle musulmani. Del resto questo lo ha affermato lui stesso davanti agli ambasciatori dei Paesi islamici».
Il Papa ha cercato di ricucire lo strappo. Eppure proprio da qui, dalla Turchia, sono arrivati segnali negativi anche negli ultimi giorni.
«Il popolo turco attende Benedetto XVI con gioia, è un popolo ospitale. E non è la prima volta che un Papa visita un Paese a maggioranza musulmana. Paolo VI e Giovanni Paolo II sono venuti qui in Turchia. Se ci sono in questo momento delle tensioni seguite dalla lezione di Ratisbona, questa è una ragione in più per giustificare il viaggio. Sarà un'occasione per coltivare l'amicizia, togliere i malintesi, sottolineare la necessità di un dialogo tra le religioni monoteistiche».
Lei continua ad essere favorevole all'ingresso della Turchia in Europa?
«Siamo sempre stati a favore dell'ingresso nell'Ue. Certo ci sono dei problemi, e dei problemi che ci riguardano».
Tra le condizioni che fa l'Europa ha appena indicato al governo di Ankara c'è anche il riconoscimento giuridico del patriarcato.
«Speriamo che nel processo previsto per l'ingresso in Europa i problemi si risolvano. Purtroppo è vero che qui ci sono limitazioni alla libertà religiosa. Dal 1971 è stata chiusa la nostra scuola teologica dell'isola di Chalki, funzionante dal 1844. Il fatto che sia stata chiusa dal governo rappresenta una violazione del trattato di Losanna, una violazione della libertà religiosa e dei diritti umani. Il patriarcato ecumenico è la prima sede ortodossa nel mondo ma anche l'unica che non ha una scuola teologica per formare i suoi chierici. Abbiamo anche perso molti edifici, nonostante fossero di nostra proprietà e non ci è concesso di eleggere un patriarca che non sia già cittadino turco».
Crede che la visita del Papa vi aiuterà?
«Il Papa ha parlato più volte della necessità di rispettare i diritti delle minoranze religiose. Se qui lo ripeterà non sarà qualcosa di nuovo. Sono principi validi per tutti i popoli. Le minoranze non costituiscono una minaccia per il Paese dove vivono, sono una ricchezza. Cristiani di tutte le confessioni ed ebrei qui in Turchia rappresentiamo lo 0,01 della popolazione. Non vogliamo niente di più che i nostri diritti. Al momento della proclamazione della Repubblica turca i cristiani ortodossi qui erano 180.000, oggi sono meno di cinquemila. Chiedetevi il perché».


Ci sono timori per la sicurezza del viaggio?
«Sono convinto che lo Stato turco prenderà tutte le misure necessarie per proteggere un ospite di rango così alto».

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