Mercoledì 4 febbraio 2009. Ore 15: In una delle tante scuole dell'Emilia Romagna politicizzata si insedia il consiglio di classe per gli scrutini . I professori sinistroidi sono schierati compatti a ferro di cavallo con giubbetti etnici e barbe incolte, già contestano una disposizione troppo gerarchica delle postazioni. Corpo estraneo all'ambiente per mancato adeguamento ideologico mi accomodo nella prima sedia libera, pronto ad assistere all'ennesimo show politicopedagogico. All'ordine del giorno c'è l'analisi della situazione didattica e disciplinare con conseguenti valutazioni. Scorrono i nomi dal registro e tutti quelli che hanno un suono non «italofono» hanno un particolare trattamento di riguardo. Sono alunni che non sanno ancora esprimersi adeguatamente in italiano e quindi non è possibile accertarne il reale livello di preparazione, ma i docenti membri della commissione multiculturale si battono per le loro sufficienze sulla base di fantomatici corsi seguiti nei paesi di provenienza.
Qualche docente sembra orientato ad evidenziarne le carenze con un quattro o un cinque, ma subito incombe su di lui la «minaccia» dell'etica dell'accoglienza: se valuti negativamente questi studenti significa che ti schieri contro l'integrazione e sarai boicottato. Allora 6 a tutti, sulla fiducia, meno grattacapi! E forse è meglio così, soprattutto per i contribuenti, altrimenti si continuerebbero ad attivare all'infinito corsi integrativi, di supporto, di accoglienza, di recupero, gratuiti per chi li segue ma onerosi per la scuoia e gli enti locali che li organizzano.
Da dove provengono infatti i soldi per allestirli? Italiano, matematica, lingue straniere, tutto scorre tranquillo, anche al di sopra delle aspettative per la maggioranza degli alunni, altrimenti i voti sarebbero frutto di autoritarismo e di imposizioni e non sia mai, come tacitamente ti ricorda minaccioso e in ebollizione il contesto scolastico politicizzato. Questo alunno ha bisogno di essere gratificato e quindi va aiutato, sostiene l'insegnante di matematica, sempre in prima posizione nelle battaglie buoniste, il professore di italiano invece accenna argomentazioni più articolate, sulla base di prerequisiti, competenze e obiettivi eventualmente raggiunti, ma il risultato è sempre uguale: nel timore di essere considerato un docente dalla impostazione didattica rigidamente reazionaria e quindi non politicamente corretto, concede il sei.
Un altro studente non può avere brutti voti perché ha una situazione familiare a rischio e ne soffrirebbe, poi c'è chi non ha ancora interiorizzato le regole dell'ambito scolastico, o studenti su cui si proiettano grandi aspettative da parte delle famiglie e tutti devono essere accontentati. Si analizza anche la situazione di un alunno che per giustificare i propri insuccessi scolastici si definisce dislessico, lo ha stabilito la famiglia, anche se non presenta tracce di questo disturbo dell'apprendimento ma solo quelle di scarsa applicazione. Per lui quindi solo otto e qualche sette, la madre è stata chiara prima degli scrutini : «Certi voti non mi stanno bene» - aveva detto minacciosa, d'altra parte si dice che anche Einstein fosse colpito da questo disturbo, non a caso è quello pure alla moda e più utilizzato. E perché non ricordare anche gli studenti che pretendono bei voti, come se fossero sempre dovuti a risarcimento di non si sa bene cosa, nell'ansia di colmare eventuali disavanzi socioculturali. Quando si passa poi alla valutazione del comportamento è sempre la solita farsa, nonostante tutti i decreti Gelmini e relative esplicitazioni.
L'autonomia scolastica è diventata il regno della confusione : ogni scuola fa quello che vuole e interpreta come preferisce le leggi, con la scusa di un diverso regolamento di istituto. Pertanto l'alunno x ha disturbato sì durante le lezioni di tutti i docenti, con un comportamento non rispettoso dell'ambito scolastico, ma non ci sono stati provvedimenti disciplinari tali che ne giustifichino ora un cinque o anche un sei in condotta (certo, praticamente hanno reso impossibile adottarli!).
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