Una Didone ribelle un po’ martire e un po’ libertina

Alla Fenice di Venezia eccezionale lettura scenica della regina dell’ars poetica. Inizia una nuova era teatrale: ora gli attori recitano i libretti d’opera

Enrico Groppali

Grazie a quello straordinario animatore di eventi culturali che è Walter Le Moli, è andato in scena a Venezia un doppio spettacolo. Ossia un’opera in musica con cantanti ed orchestra felicemente preceduta, la sera prima, dalla recita in prosa del solo libretto. Per mostrare allo spettatore l’assoluta preponderanza del testo esaltandone la valenza letteraria, i promotori dell’esperimento hanno scelto come esempio la più fascinosa delle regine dell’ars poetica. Ossia quella Didone che prima il mantovano Virgilio e in seguito il britannico Marlowe condannarono a morire sul rogo. Una chiusa, quest’ultima, particolarmente sgradita a un poeta libertino come Gian Francesco Busenello. Che, nell’originale stesura della Didone che nel 1641 articolò in stanze squisite per la musica di Cavalli per prima cosa cosa tramutò la favola drammatica in patetica elegia. Facendo apparire Creusa, fedelissima sposa di Enea, nelle vesti di un’ombra che al coniuge sacrifica la vita apparendogli in morte ogni volta che vuole, il drammaturgo ha impresso al dramma l’andamento della satira di costume. Dato che, nei quadri successivi, la tragica Didone sembra la diafana replica di Creusa rifiutandosi all’amplesso profano e consacrando la corte al lutto. Creusa morta e Didone moritura appaiono qui come tessere spaiate della stessa persona che abita una Cartagine simile ai Campi Elisi.
Ma il perverso Busenello non si ferma qui. Poiché, con un’audacia senza precedenti, non si limita a contemplare questa figura bifronte. E adombra in lei, creatura profana, addirittura la Santa Vergine. Dotandola, nei trapassi dall’al di qua all’al di là celestiale, delle stesse tremende Cento Lame che la torturano nelle immagini della nostra fede. In altri termini Didone diviene una sinistra e potentissima Femmina-Dea che si consuma e si rinnova assistendo compiaciuta alla recita della sua estinzione. Cosa fa infatti a un passo dal suicidio? Si ribella contro la tradizione classica. Finendo, nell’interpretazione dei giovani attori preparati da Le Moli coordinatore, per mettere in scena un suicidio che non ha intenzione di commettere, allo scopo di guadagnarsi l’affetto di un antico adoratore. Il quale, guarda caso, non è altri che Iarba, il malcapitato pretendente che vaga in preda alla follia grazie al suo precedente rifiuto. In un finale di tale lucida ironia da meritare solo per questo l’obbligo della citazione, Didone si richiude a riccio celebrando nella conversione dell’eroina ai principi dell’Amor Cortese un libertinaggio ante litteram. Quello che, cento anni dopo, fornirà a Lorenzo Da Ponte trama e pretesto per quel capolavoro che si chiama Così fan tutte.

Dove le infedelissime donzelle Dorabella e Fiordiligi ripeteranno senza saperlo i falsi languori e le indebite promesse di questa stravagante antesignana del libero amore.

DIDONE – di Gian Francesco Busenello Iulm di Venezia e Teatro Stabile di Torino. Lettura scenica coordinata da Walter Le Moli. Venezia, Fenice.

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