Diego Maradona, genio del calcio e fuori dal mondo

Non gli basta essere megli’ePPelè. Lo vuole anche distruggere sul campo della dignità. Non si capisce bene che cosa significhi ma l’importante è dire, trovando l’applauso. Non gli basta avere posato in foto ricordo accanto a qualche malavitoso napoletano, robetta casuale così giustificano i sodali, gli piace difendere Fidel Castro trascurando alcuni dettagli di democrazia cubana e simili, gli gusta accusare il novantaduenne Joao Havelange e il colonnello in pensione Sepp Blatter «uno porta il fucile, l’altro mette le cartucce» dimenticando e facendo dimenticare che fu proprio lui medesimo a tirare qualche colpo di schioppo ai giornalisti e fotografi che lo stavano seguendo e inseguendo in una fazenda argentina.
Qualunque cosa dica, faccia, alluda El pibe de oro, el peluso, Diego Armando Maradona, è vangelo, è romanzo, è film, è storia, è verità totale, unica, universale. La famiglia Sinagra la pensa diversamente ma questa è una malignità dei poveri di spirito. Kusturica Emir gli ha dedicato un intero film documentario spiegando anche che la vita del Maradona è già un film e non ha bisogno di essere romanzata. Non è detto, però, che il film (della vita non quello del documentario del grande regista serbo) sia bello, che la trama sia gradevole, anche se l’attore è grandioso, la sua interpretazione da Oscar. Kusturica non si discute, d’accordo, ma il romanzo esistenziale di Maradona ha avuto molte pagine troppo in fretta dimenticate, capricci, connivenze, complicità che ancora resistono, un’orgia dietro l’altra, nel nome de Dios e della sua mano, stanze di albergo danneggiate, vizi privati, tutta roba che fa parte, dicono i kusturichiani e i pellegrini del Santo subito e sempre, dell’arte, dell’icona, della magia dell’uomo nato per incantare, con il pallone e la palabra. Sia chiaro: chi discute o critica il futbolista fuoriclasse non capisce nulla di football e di sport e dovrebbe dedicarsi al ricamo ma questo che c’entra con tutto il resto? Che centra con il fucile di Havelange e le cartucce di Blatter, con Matarrese che continua a ricevere onori di menzioni anche oltre oceano, con Edson Arantes do Nascimento detto Pelè che non è passato alla storia del calcio come atleta indegno, semmai per essere stato, qualcuno lo ha dimenticato, un campione di colore, «nero», in un periodo, in uno sport dove i neri non avevano gloria facile e futuro garantito, a meno che non si mettessero a fare propaganda politica. Non risulta nemmeno che Alfredo Di Stefano, Lev Jashin, Johann Cruyff, Michel Platini, Marco Van Basten, Zinedine Zidane, abbiano avuto lo stesso percorso esistenziale del pibe de oro eppure di loro si scrive e si parla come leggende, come idoli, come profeti del gol (titolo di un film di Sandro Ciotti dedicato all’olandese volante Cruyff, senza passerella a Cannes o dintorni).


Maradona continua la sua partita, bambino e clown, fragile e romantico, inquieto e imprevedibile. Non si è accorto che le api attorno al suo miele, i «maradonniari» che lo hanno adorato, venerato, giustificato, non lo hanno aiutato mai a concludere il film. E a incominciare la vita. Vera.

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