El Diego prima ha guardato in su. Scendeva tanta di quell’acqua che sembrava gli si bucassero gli occhi, allora ha pensato che questa volta avrebbe dovuto cavarsela da solo, probabilmente, e si è girato verso la sua panchina.
Questa partita con il Perù era solo da vincere, non da giocare. Sopra quel fango, sotto quel cielo, valeva tutto e lui questo lo sapeva benissimo: mettila dentro Diego, si sentiva quasi supplicare in ginocchio da quella voce che ormai aveva capito benissimo da dove arrivava. Era la stessa di quella volta con Peter Shilton, lui non aveva nessuna intenzione di metterci una pezza, fu tutto così meccanico che alla fine non sapeva cosa rispondere: «È un atto di giustizia dopo le Falkland». Persino ad Helsinki c’è un murales dove troneggia la manica di una camicia biancoceleste e la sua mano che esce come nel capolavoro della Cappella Sistina. Non si è mai trattato di vedersela solo con lui ma con tutto l’entourage che gli vagabonda attorno, leggero e ultraterreno. La partita che non si doveva giocare ma solo vincere era sullo 0-0, e se n’era già andato un tempo. Lui guarda quella panca avvilita e umida, fa un cenno, El Loco si alza, esce dalla buca, quando arriva dinnanzi a El Diego è già fradicio come tutte le chicas del Monumental di Baires.
El Loco è un vecchio centravanti di 36 anni, ne ha viste talmente tante che ormai si confonde, si sveglia in piena notte e colpisce qualcosa, sempre al volo, a volte appeso allo stipite della stanza come quella volta che per segnare un gol al River si appese alla traversa. Cos’è questa sera Martin Palermo detto El Loco? È l’uomo della provvidenza, quel pazzo che una settimana fa ha segnato di testa da metà campo o è solo quel vecchio carro che riuscì a sbagliare tre rigori consecutivamente. El Diego lo chiama: «Vai e chiudi questa storia come hai sempre fatto». Non era la sua, era la voce dell’entourage che lo mantiene in vita e ha continuato a farlo anche quando lui riuscì in quell’impresa storica di fare indigestione di sigari cubani. Se devi entrare nella leggenda, devi provarle tutte. Entra El Loco.
Neppure un minuto dopo l’Argentina va in vantaggio. Diluvia, fa freddo ma El Diego sta compiendo un altro miracolo, c’è dentro fino al collo, la partita è già scritta in alto, molto in alto.
Anche il Perù ha un centravanti in panchina, si chiama Herman Rengifo, a venti minuti dalla fine entra, cade, si rialza. El Diego si dimentica di lui. In Argentina gira la voce che la preoccupazione più grossa di Grondona, il presidente dell’Afa, sia stata quella di trovare un tutor per El Diego, qualcuno che ogni tanto lo rimetta fra i mortali. Sarebbe anche un impegno lodevole, ma El Diego deve restare lassù, giù fra noi lui un po’ si perde. Sono i suoi contatti che fanno la differenza, si era rivolto a lui anche il narcotrafficante colombiano Hernando Gómez Bustamante, uno dei capi del Cartello Norte del Valle, per non farsi estradare in Colombia dopo il suo arresto a Cuba, incontrò El Diego e venne incarcerato in America.
Erano venti minuti che quel buono a nulla di Rengifo girovagava per il campo senza beccare palla. Manca un minuto, forse due: gol, gol di Rengifo, 1-1, quell’inutile Rengifo ha fatto gol mentre quell’altrettanto inutile quarto uomo mostra la lavagna, due minuti di recupero, due minuti per prendere un intero paese, far scendere le scialuppe e portarlo in salvo prima che la nave s’inabissi. «Mi sono sentito liquefatto», dice El Diego adesso mentre incrocia a fatica le sue braccia troppo grasse. Poi è successo quello che non ha una spiegazione, perché El Loco era nel posto meno riparato del Monumental, l’acqua fino alle caviglie, avvilito perché non era riuscito a esaudire il desiderio del suo principale. La palla gli era passata due volte sopra la testa e lui aveva seguito quelle parabole bagnato e rassegnato. Poi la palla gli rimbalza sulla scarpa e va in rete, Argentina-Perù 2-1, adesso la biancoceleste è quarta, ultimo posto utile per andare in Sud Africa. Anche se spunta l’ombra di un tentativo di accomodamento denunciato dai peruviani. «Ci chiedevano di abbassare le braccia, soprattutto Mascherano», ha raccontato Roberto Palacios ai giornalisti.
El Diego dov’è? Si è
tuffato nella pozza più grande, sparito. Quando riemerge c’è un microfono che lo punta: «El Barba - dice orgoglioso - si è ricordato ancora una volta di me». Quando giochi contro El Diego non giochi mai solo contro di lui.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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